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Anatomia del giudizio universale. Presi nella rete

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Titolo: <strong>Anatomia del giudizio universale. Presi nella rete</strong></br></br>
Autore: <strong>Paolo Bottazzini</strong></br></br>
Editore: <strong>Mimesis</strong></br></br>
Pagine: <strong></strong></br></br>
Anno edizione: <strong>2015</strong></br></br>
EAN: <strong>9788857529622</strong></br></br>

<p>Tutti consultiamo le mappe di Google, interroghiamo il suo motore, condividiamo foto e pensieri su Facebook, ci lusinghiamo della nostra arguzia su Twitter, ci informiamo su Wikipedia, diffondiamo il nostro curriculum su Linkedin. A loro volta, Google, Facebook, Twitter, Linkedin, trasformano ogni nostro gesto in un dato che permette di ricostruire la nostra storia, la nostra identità e i nostri interessi meglio di quanto sapremmo fare noi stessi. I politici che vincono le elezioni (come ha insegnato Obama in America), le società i cui prodotti incontrano un larghissimo favore di pubblico (come Apple o Google), asseriscono di fondare il loro successo sulla raccolta e l'interpretazione di grandi moli di dati: i cosiddetti Big Data. Ma questo non basta. La loro convinzione è che esista un percorso irreversibile nella storia, che guida ad assumere le decisioni corrette. La società, gli uomini, l'economia, sono composti di reti, che si auto-organizzano con meccanismi che possono essere descritti da leggi matematiche. Le reti sono ovunque, plasmano gli organismi viventi, le organizzazioni sociali, gli scambi economici, le strutture urbanistiche, la letteratura scientifica. Ma le regole che le governano sono a loro volta il sintomo di un fenomeno più profondo, da cui sono configurate in filigrana: l'informazione.</p>
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Cosa significa per noi homines digitales essere «presi nella rete»? L’esistenza di Internet e dei social network ha cambiato la nostra ontologia? In questo lungo saggio il filosofo Paolo Bottazzini riprende il concetto teorizzato da Rickard Dawkins e Stuart Kauffman, secondo cui la Rete è la dimostrazione classica di come anche la storia possa essere considerata da un punto di vista evoluzionistico e rappresentata per mezzo di un algoritmo matematico univoco, che toglierà sempre più spazio al caso e alla libertà personale. Solo nell’appendice finale svela il suo pensiero: che cioè questo non è vero, perché un algoritmo non è sufficiente e occorre che il ricercatore (rectius, il «filosofo») ne ricavi un senso. La prima parte del libro, «La rete come paradigma