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Quando mi chiedono quale sia IL LIBRO, non ho dubbi. CHIAMALO SONNO. Non sto qui a descrivervelo tutto… Cito solo una scena. La madre e la zia di David parlano tra loro, un po’ in polacco, un po’ in inglese… attente a che David non capiscano di quello di cui stanno parlando. Ma David un po’ lo capisce. E un po’ no. E quello che capisce è una rivelazione sconvolgente. Mentre mamma e zia parlano, David finge di essere concentrato a guardare fuori, dalla finestra, verso dei ragazzi lontani. Assolutamente inimitabile.
Si grida dappertutto al capolavoro e magari è anche così, il punto è che credo di non averne proprio capito la grandezza. E’ la storia di un bambino ebreo che arriva con la madre a New York nel 1907, dove già lavora il padre. Fine. Cioè in realtà sono oltre 500 pagine ma, al di là di un po’ di storia ebraica, analisi del ghetto, descrizione della mammosità fastidiosa di questo bambino, che non è neppure diventato famoso e davvero non capisco perché doverne raccontare la storia, non c’è nulla che mi abbia effettivamente affascinato. A tratti infarcito di flux of consciousness alla James Joice (e sfido chiunque a dirmi che è riuscito ad arrivare alla fine di Dubliners senza tagliarsi le vene), tenta l’impennata finale con lo svelare un segreto che poi alla fine non svela neppure. La sufficienza la raggiunge ma nulla di più ed è un peccato, perché qua e là è punteggiato di personaggi davvero ruvidi che avrebbero meritato molto più respiro ma non l’hanno avuto
Purtroppo, giunta a pag.122, sto ancora cercando un valido motivo per continuare la lettura. Narrato con gli occhi di un bimbo fragile, morbosamente attaccato alla madre. Forse non capisco io, ma proprio non riesco ad apprezzarlo e non nutro speranza in una narrazione più coinvolgente nelle pagine successive.
Ottimo romanzo, che mi ha fatto rivivere emozioni di quand’ero bambino. Henry Roth ha una straordinaria capacità di calarsi nel mondo infantile del piccolo David. Il punto di vista narrativo è sempre riferito a David, è come se lo scrittore fosse sempre lì ad un metro accanto a lui. L’autore ci mostra che la famiglia non è sempre un rifugio sicuro, anzi, può essere la causa di angosce e paure gigantesche. La madre e il padre del piccolo protagonista sono rappresentati magistralmente, così come i personaggi secondari. Basti pensare all’irascibile rabbino che insegna a colpi di bacchetta. In tutta la narrazione c’è una grande cura dei dettagli. Henry Roth si destreggia con grande equilibrio tra descrizione, azione e dialoghi. David «voleva essere come gli altri ragazzi della strada. Voleva essere in grado di dire dove lavorava suo padre.»