|
Bel libro, ma - francamente - per la storia in sé mille pagine mi sembrano un po’ troppe. Ansia da prestazione dell’autore?
Scrittura colta e forbita, a dimostrare che il suo autore ha studiato non solo la NY di quegli anni (sforzo che gli è valso il riconoscimento incondizionato di chi ha vissuto realmente la città nel suo cambiamento epocale, senza i filtri da cartolina colorata del turista moderno, sedicente esperto della grande mela per aver letto De Lillo o Auster), ma anche i dotti maestri della narrativa americana contemporanea che prima (e meglio) di lui hanno tratteggiato la complessità dell’animo umano, nelle sue pieghe e derive più intime. Interessante e funzionale al contesto dell’opera è anche il gioco degli «inserti»(spassosissima la lettera del padre al figlio e molto bello l’articolo sui fuochi artificiali), già sperimentato da altri (l’ultimo, in ordine di tempo, che mi viene in mente è l’Eggers del «formidabile genio»). Eppure il risultato finale è, a mio modestissimo avviso, poco equilibrato (bastavano meno pagine per veicolare il messaggio) e, tutto sommato, frustrante per la piattezza dei toni, il vuoto dei colori e, soprattutto, un intento narrativo che parte forte ma si indebolisce sempre più col passare delle pagine, fino a collassare in un finale intenzionalmente vacuo e frettoloso (pensato forse per sottolineare che l’obbiettivo del libro non è il senso della storia ma piuttosto l’indagine psico-morale dei suoi inconsapevoli protagonisti) che lascia dietro di sé un forte senso di incompiutezza.
Non so quanti tra i recensori e lettori professionali (critici, giornalisti, librai…) hanno davvero letto fino in fondo questo romanzone… eh, sai com’è, son quasi mille pagine. Molto meglio le smilze paginette di Baricco, se non altro finiscono presto. Si è preferito parlare del mega acconto pagato all’autore che del merito: e cioè del talento esagerato che ha questo sconosciuto esordiente per l’affabulazione, la narrazione pura, la creazione di mondi, paesaggi (urbani) e personaggi (alcuni riuscitissimi). Certo, non è facile seguirlo, la narrazione va avanti e indietro nel tempo seguendo i protagonisti in momenti diversi e non necessariamente messi in ordine cronologico. Nel testo sono anche inseriti elementi «spuri» come una fanzine fine anni ‘70 riprodotta graficamente come una fotocopia dell’originale, il che non agevola una lettura distratta o frettolosa. Anche la cifra stilistica utilizzata, che gioca su vari registri, dal feuilleton sociale alla Balzac al noir alla Chandler e alla Ellroy, con incursioni nel canone novecentesco nord americano (qua e là un po’ di Updike e Roth), può generare un senso di spaesamento, a volte, ma basta lasciarsi andare al flusso narrativo senza porsi troppe domande per godersi appieno la lettura. Notevole appare anche lo sforzo ricostruttivo non tanto dello scenario «fisico
L’anno scorso negli Stati Uniti, quello di Garth Risk Hallberg era uno degli esordi più attesi e alla fine è risultato anche uno dei più celebrati. Ed in effetti «Città in fiamme