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Carlo Michelstaedter è sicuramente un personaggio che se lo leggi ti cambia un pò la vita, con la siua originale filosofia mette il dito sulla piaga sulle cose che di solito pensi ma che subito rifuggi perchè ti sono scomode, a Paolo Magris e Marcello Crea il merito di aver sintetizzato il pensiero del genio goriziano in un testo teatrale che si fa leggere tutto in un fiato e che ti lascia la sensazione di essere anche tu come lui essere arrivato «oltre» . I ragionamenti sono diretti, immediati,le scene emotivamente pulite ed essenziali. Ma la «semplicità» purtoppo non è fruibile da tutti, purtoppo. Alcuni pseudo intellettuali che negl’anni hanno speso fiumi di parole ed hanno idealizzato con concetti personali C.M. (cosa che l’autore odiava) dovrebbero leggere questo libro che rimane, secondo me, il più fedele al suo straordinario pensiero che scardina gli equilibri dei ben pensanti.
Noioso, noioso, noioso! Povero, come le poche pagine da leggere. Forse Michelstaedter sarà stato un personaggio particolare, ma questo libro non gli rende certo giustizia.
Ritengo sia un testo molto vivo, dinamico. Il dialogo tra l’amica ed il filosofo goriziano – che in alcuni passi diventa monologo di uno o dell’altro personaggio – si svolge fluidamente senza sosta, trascinando il lettore in una profonda riflessione sul senso dell’esistenza. L’aver assistito anche alla messa in scena della rappresentazione mi ha permesso di cogliere con maggior profondità e coinvolgimento le sfumature che caratterizzano il testo teatrale. Gli autori hanno affrontato nella prima parte del testo il tragico epilogo della vita di Michelstaedter – senza tuttavia proporre una loro “spiegazione” del gesto con cui il giovane si è tolto la vita, interpretazione che sarebbe stata in ogni caso solo un’ulteriore e forse inutile ipotesi – ma non si sono fermati a questo essi, infatti, si sono impegnati soprattutto a comunicare gli interrogativi, le riflessioni ed il pensiero di questo giovane filosofo, a volte con schietta ironia, altre volte con forte determinazione, altre volte invece con velata malinconia, ma sempre a mio avviso con viva partecipazione umana. Secondo il filosofo, la condizione umana implica nella sua essenza una continua tensione verso la realizzazione personale si può tentare di raggiungere la completa padronanza di sé solo vivendo il presente, poiché guardando il passato ormai immutabile spesso nascono rimorsi per le occasioni perdute, mentre aspettando il futuro totalmente ignoto si è spesso colti dall’ansia e dalla paura. In questo testo si può dunque trovare il senso vero e profondo dell’invito di Orazio: “Carpe Diem”. Questa ricerca interiore si colloca fuori dal tempo: i quesiti che le meditazioni di Michelstaedter rivelano sono le domande che anche noi oggi ci poniamo, interrogativi esistenziali che vanno oltre la storia, nel tentativo di trovare il “significato“ dell’esistenza umana. Nel testo troverete molti spunti di riflessione, ma non soluzioni o risposte la vita non è qualcosa che si può spiegare con la retorica delle parole, è invece un’esperienza: va vissuta!!
Teatralizzare Michelstaedter, dovrei dire forse drammatizzare? Arduo se non irrealizzabile per quanto le vicende biografiche di questo intellettuale goriziano ma cittadino del (suo) mondo (il cui essere «maledetto» risiedeva nel suo essere immacolato ed il cui «tragico» cammino non poteva che concludersi nell’annientamento di chi non teme di divenire nihil, in dispregio all’incoerenza di innumerevoli predecessori lungo le erte del pensiero alto e dell’istante) tanto si prestino alla reductio ad scenam. La piece del figlio di Magris si cimenta con Carlo ma lo unidimensionalizza, credo scientemente e ciò comporta la perdita di profondità dell’uomo Michelstaedter, non del pensatore i cui tratti essenziali sono fedelmente riportati nel testo. In ultima analisi un esperimento riuscito per quanto viziato da una irrisolubilità di fondo: quella dell’enigma Michelstaedter.