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Più che discreto questo secondo episodio delle indagini di Ferraro. Soffre un po nella parte centrale per un brusco rilassamento del ritmo narrativo, ma per il resto rimane una piacevole lettura. Migliora la caratterizzazione del protagonista che fa presupporre un suo miglio sviluppo nei romanzi successivi.
Secondo estratto dalla serie del Commissario Ferraro che è a mio avviso tra i più belli della serie se non il più bello, non per niente risulta anche premiato anche con il Premio letterario Franco Fedeli e altri riconoscimenti.
La prossima volta, l’autore - oltre alle consulenze in campo medico, linguistico e giuridico cui lo stesso Biondillo accenna nella nota finale - dovrebbe chiederne una anche di tipo «investigativo». Sì, perché un romanzo che sarebbe molto bello - dai personaggi costruiti benissimo (non solo il protagonista Ferraro) alla descrizione della città di Milano - perde tantissimo quando si tratta di… ottenere dati bancari, numeri telefonici chiamati o notizie da polizie straniere. La narrazione è infarcita di troppi e facili deus ex machina lontanissimi dalla realtà, in cui non basta cliccare il tasto di un computer per sapere dove sono stati prelevati dei soldi! Anche il finale ricorda (negativamente) un telefilm statunitense con l’eroe solitario di turno che tenta il gesto eroico e la cavalleria che arriva a salvarlo all’ultimo momento. Buona lettura di distrazione, che poteva essere molto di più.
L’ispettore Michele Ferraro sembra, a prima vista, un «medioman»: un quarantenne divorziato costretto a far i conti con il frigo vuoto, con una laurea nel cassetto, con la solitudine non certo da numero primo, ma da persona fin troppo comune, a metà fra due universi spesso in conflitto. Cresciuto a Quarto Oggiaro, quartiere popolare alla periferia di Milano, fra contrabbandieri e svitati, si ritrova - per scelte d’emergenza - a dover spesso trasportare in caserma i suoi amici di infanzia. Lui, che si definisce inventore dell’happy hour per aver saccheggiato il buffet di uno dei locali del centro, è un poliziotto che si nutre di una propria, personalissima idea di giustizia e non si tira indietro quando si tratta di danneggiare irrimediabilmente la jeep di un figlio di papà responsabile di aver dato fuoco al giaciglio di un barbone. Nonostante una routine fatta di caffè alle macchinette con il collega Comaschi, di dentiere scippate e risse fra immigrati, si troverà ad indagare su una presunta faida di mafia destinata ad inaugurare una nuova stagione della malavita italiana. Grande attenzione all’ambiente, descritto in modo assolutamente realistico. Lo stereotipo universale si fonde con la particolarità dell’ambientazione. Biondillo è anche molto bravo a descrivere i sentimenti degli oggetti: si prova una sorta di empatia anche per la sveglia che decide di suicidarsi dopo anni e anni di scarpate sulla testa, e per la macchinetta del caffè che si impegna al massimo per elargire una buona bevanda al suo adorato ispettore Ferraro! Insomma: 500 pagine scorrono fra le dita senza nemmeno accorgersene, un romanzo che consiglio a tutti.