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I luoghi comuni di Demetrio si rincorrono per tutto il libro, come del resto in tutta la sua produzione recente, dall’Elogio dell’Immaturità in poi: una scrittura da Baci Perugina, una serie di sciocchezze senza dubbio di moda, in epoca di new age e altre stupidaggini, una mancanza di approfondimento teorico che piace tanto oggigiorno coniugata a una consolatoria prospettiva che si vieta di vedere il dolore del mondo ma consola i dolorini di pancia dell’elite con un pannicello caldo che fa tanto stare bene….finché non si scopre il trucco.
La scrittura di Demetrio si attorciglia su se stessa che è una meraviglia. I tentativi di renderla accattivante risultano spesso forzati, e celano malamente l’assoluta mancanza di argomenti originali o abbastanza approfonditi da non lasciare affiorare il ricordo di qualcosa già letto su Donna Moderna. 300 pagine che con un minimo di dono della sintesi potevano diventare…3. Sì, 3. Perché l’unico trionfo a cui si assiste qui è quello della banalità. E della noia. Molto centrata invece - del titolo - l’idea «del camminare»… talmente buona che il mio consiglio è di prenderla sul serio ancor prima di aprire il libro!
Libro che Orio Vergani definirebbe da chevet a dispetto del titolo e delle intenzioni dell’autore. Libro dell’ora solitaria per flaneur goncaroviani e demaistreani. Prosa sublime che fa il verso a Edmond Jabès.