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Da alcuni anni un gruppo di storici, o meglio pseudo storici revisionisti, ma che si potrebbero anche definire neoborbonici, sta cercando di minare la già poca coesione nazionale con una pretesa verità, secondo la quale ai soldati del Regno delle Due Sicilie presi prigionieri dai garibaldini e dai piemontesi sarebbe stata riservata un sorte non dissimile da quella degli ebrei vittime dell’olocausto. Ci sono state pubblicazioni al riguardo, ma anche una diffusione capillare su Internet, che ho potuto verificare di persona e che mi ha lasciato piuttosto perplesso. Dico subito che non ho preso per oro colato le asserzioni di questi revisionisti, ma, considerato quanto di strano può accadere nel nostro paese, mi sono detto che una simile accusa, i cui elementi probatori in verità sono assai esili, meritava un approfondimento onde accertare la sua fondatezza. La perplessità è derivata sai dai toni accesi, sia confrontando i vari interventi, con numeri e notizie non concordanti. Alessandro Barbero, per quanto piemontese, è uno storico capace e coscienzioso e ha ritenuto necessario effettuare la verifica, da cui è scaturito questo saggio che, essendo fatto di tanti numeri e notizie probatorie capillari, può riuscire di non agevole e particolarmente piacevole lettura tuttavia l’opera ha il pregio di smontare, senza ombra di dubbio, la teoria revisionista. A Fenerstrelle furono rinchiusi temporaneamente pochissimi soldati borbonici, ma non come prigionieri, bensì in attesa di destinazione, e in ogni caso non vi trascorsero l’inverno e se vi furono dei decessi questi furono solamente quattro e per malattia. Quindi I prigionieri dei Savoia è assolutamente da leggere, e non solo per conoscere un aspetto della nostra storia spesso trascurato, ma per non dare il minimo credito alle tante e irresponsabili voci presenti su Internet.
Conoscevo Alessandro Barbero per avere assistito ad alcune sue conferenze sulla Storia Medioevale, di cui è un apprezzato cultore, e per averlo ascoltato, anche recentemente, in televisione. Così mi sono accostato all’ultima sua fatica, intrapresa per controbattere l’ondata di revisionismo che si è abbattuta (forse in concomitanza con le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia) sul nostro Risorgimento. Devo dire che l’ha fatto da storico, documentando tutto fino al più piccolo dettaglio: infatti, quasi un quinto del lavoro è dedicato alle note, alla bibliografia ed all’elenco delle altre fonti. Quello che comunque è più importante nell’opera di Barbero è la confutazione dei veri e propri falsi che pseudo-storici in malafede hanno compiuto per avvalorare le loro tesi. Per far questo, l’autore ha elencato con precisione e - vorrei dire - pignoleria il numero dei prigionieri, dei processi intentati ad alcuni di essi e quello dei morti rilevando per molti di loro anche le cause del decesso: una confutazione a prova di storico!
Sto leggendo il libro, finora sono arrivato a pag. 84 (I e II capitolo). Devo dire che il libro del Prof. Barbero ha dalla sua la ricchissima bibliografia e le numerose fonti bibliografiche, ma il tutto, al contrario di quello che era il suo intento, non fa altro che suffragare le istanze revisioniste sul Risorgimento italiano. E’ puerile tentare di attaccare lo scrittore Izzo riportando per intiero le affermazioni del pastore valdese Georges Appia. Infatti, chi conosce la storia del XIX secolo, sa bene come i valdesi odiassero la Chiesa di Roma e come fu significativo il loro supporto alla causa risorgimentale. Quindi il Prof. Barbero non dovrebbe meravigliarsi del fatto che Izzo dubiti di quanto l’Appia riporti. Espressioni tipo: «sono stufi di servire il papa» se riportate da un valdese destano molte perplessità caro Barbero. Al contrario di quanto riportato dall’Appia, considerato dal Barbero puro «Vangelo
«I prigionieri dei Savoia» è un libro interessantissimo, dal punto di vista storico ed anche in funzione di un’interpretazione più consapevole dell’Italia di oggi, sebbene non raggiunga le vette dei capolavori di Alessandro Barbero, quali «La battaglia» (2003, su Waterloo) e «Lepanto. La battaglia dei tre imperi» (2010). L’autore, in ogni caso, contrappone il suo rigoroso metodo storico alla cialtroneria degli scrittori revisionisti «neoborbonici