|
Definire un giallo, o più specificatamente un legal thriller il libro di von Schirach, è improprio. Il protagonista, un giovane avvocato nominato d’ufficio alla sua prima causa, deve difendere un reo confesso, un italiano di 67 anni che ha ucciso Hans Meyer, un anziano e ricco signore tedesco, accanendosi sul cadavere. Di oscuro non resta che il movente, ma è talmente intuibile che l’editore non si è neppure peritato di celarlo, offrendocelo nella quarta di copertina da una recensione del Berliner Zeitung. Non troveremo quindi né tensione, né particolare suspense. L’obiettivo dell’autore è un altro e verrà affrontato nella fase finale del romanzo, con il brillante controinterrogatorio del giovane avvocato difensore alla teste chiave, la direttrice dell’archivio federale per gli accertamenti dei crimini del nazionalsocialismo di Ludwigsburg. E’ ancora la storia dei crimini nazisti a rimescolare sangue e coscienze in una Germania che sembra a volte aver solo apparentemente superato quell’orrore storico. Il testo è riconducibile alla biografia dell’autore sia per la sua professione di penalista, che per l’accostamento della vittima, Hans Meyer, al nonno paterno di von Schirach che fu leader della gioventù hitleriana. Lo scrittore, che ha più volte dichiarato di non capire suo nonno e di sentirlo completamente estraneo, pare cogliere attraverso il libro, un’ulteriore occasione per prenderne le distanze. Il valore del testo, più che nell’esile trama, sta nel rendere noto al grande pubblico, con tanto di articoli in appendice, la legge del 1 ottobre 1968 chiamata Egowig (acronimo tradotto con Norme introduttive alla legge sulle infrazioni) il cui effetto fu la prescrizione per i reati degli appartenenti al terzo Reich che erano solo destinatari di ordini. E qui torniamo alla banalità del male della Arendt, all’«inconsapevolezza» di tanti tedeschi che in fondo eseguivano solo degli ordini. Non è un libro entusiasmante, ma un merita apprezzamento per l’argomento trattato.
Decisamente bello questo primo romanzo di Von Schirach, che si regge su un impianto narrativo a orologeria, in grado di mantenere costantemente vivo l’interesse del lettore, sempre in attesa dei successivi sviluppi della vicenda processuale al centro della narrazione. Lo stile di scrittura è asciutto ed essenziale, ma non manca di eleganza ed é decisamente funzionale al genere di storia narrata. Un romanzo che, parla di vittime e carnefici durante la Seconda Guerra Mondiale, di colpa, di vendetta, di diritto alla giustizia, ma senza emettere un verdetto assoluto e definitivo. Un libro prezioso, che ci aiuta a riflettere ancora una volta su uno dei periodi più tristi dell’umanità. Da leggere e meditare.
In questa occasione si dimostra una volta di piú che non é necessario scrivere diverse centinaia di pagine per conquistare i lettori. Questa storia breve, ben costruita e ben scritta, si legge agevolmente, cattura l’attenzione del lettore e lo fa riflettere su temi generali d’importanza fondamentale legati alla giustizia degli umani e all’applicazione che essi riescono a darne nei vari casi in cui sono chiamati a prendere una decisione. Una gradevolissima e inaspettata sorpresa.
Il valore di questo romanzo sta nel voler portare a galla il peso che le generazioni figlie di criminali di guerra portano con se per le atrocità commesse dai loro padri e nella denuncia contro uno stato, quello tedesco, che modifica le proprie leggi impedendo così i processi a quei criminali, nel tentativo di archiviare e dimenticare definitivamente un ignobile capitolo della nostra storia, nell’inutile speranza che ciò possa bastare a liberare la coscienza.