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Quarto e ultimo romanzo per la serie distopica «The Giver» che come di consueto è incentrato su un protagonista inedito, per poi riallacciarsi con personaggi già conosciuti nei precedenti libri. Il romanzo è diviso in tre parti. Nella prima parte, quella introduttiva, facciamo un passo indietro nella storia, ritorniamo al mondo di Jonas, quel mondo apparentemente perfetto ed asettico del primo libro, ma questa volta il punto di vista cambia completamente prospettiva, portando il lettore a conoscere Claire, una ragazza designata dalla sua società con il compito di «anfora
E’ una poesia, quest’ultimo capitolo della saga distopica di Lois Lowry. I personaggi e le storie dei tre volumi precedenti si riuniscono qui in un unicum che spiega molte cose, chiarisce i punti rimasti in sospeso e dà un senso (morale, soprattutto) all’intera vicenda. Mi piace molto l’idea di collocare questi piccoli mondi - la Comunità, il Villaggio, la cittadina di pescatori dove vive Alys - in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio: in tal modo, è come se l’autrice dichiarasse che tutto ciò che è raccontato, tutti gli orrori - ma anche le gioie - che si verificano in quei luoghi, possono avvenire ovunque, in qualunque momento. Questo quarto volume mi è sembrato un po’ più lento, ma anche più poetico e delicato, dei precedenti. L’amore materno la fa da padrone, governa la storia e ne tira le somme e - cosa meravigliosa - la Lowry racconta quest’amore attraverso la sua assenza. Sia Claire che Gabe (suo figlio) amano ardentemente una grande mancanza - il figlio per l’una, la madre per l’altro. Ecco, bisogna essere nella giusta disposizione d’animo per leggere questo libro. Prendetevi il vostro tempo e entrate - «immedesimatevi
Ebbene siamo arrivati al quarto episodio della saga di The giver, e il cerchio si chiude. Il figlio è il romanzo di chiusura di questa splendida quadrilogia di Lois Lowry (gli altri: The Giver, Gathering Blue e The Messenger). Ritroviamo subito la società del primo libro della serie, dove regnano incontraste l’obbedienza cieca alle regole, il conformismo, la passività, la freddezza, l’apatia e l’indolenza, ma nella seconda (e terza) parte del libro c’è spazio anche per un pò di speranza, altre comunità che non sono certo perfette (ricordiamoci sempre che l’autrice ambienta questa storia in un futuro distopico), ma almeno vi si trova un briciolo di umanità e benevolenza, e proprio per questo il Male cerca in tutti i modi di farsi spazio, tentando e ingannando. Il libro è scritto molto bene, l’autrice sa coinvolgere il lettore, ha uno stile semplice e meraviglioso ed è impossibile non rimanere incollati alle pagine. L’unico appunto, come ha fatto notare una nostra cara amica, è quel piccolo elemento fantasy, che non rovina il libro, ma crea un pò di contrasto. Roba di poco conto comunque che non rovina la godibilità del testo. Emozionante, coinvolgente, speranzoso, un libro che è catalogato come young adult ma che può essere letto dai 14 ai 100 anni, ci sono molti spunti di riflessione che possono essere applicati alla nostra società un libro intenso, dove in un mondo in rovina vince l’amore più grande che possa esistere. Spero vivamente che la Lowry possa scrivere altro e non fermarsi a questo quarto libro anche se l’autrice ha dichiarato che sarebbe stato conclusivo della serie. Me lo auguro perchè questi quattro libri sono di una bellezza assoluta, probabilmente i migliori che ho letto negli ultimi anni.
Ho un unico appunto da fare a Il figlio: le ultime venti pagine, che si ricollegano a Il messaggero e riportano al centro della vicenda l’elemento fantastico. Ma sono venti pagine su quattrocento: e le restanti sono bellissime, di una malinconia, di un orrore, di una bellezza pari a quelle di The giver. Con l’aggiunta di tanto, tanto amore: perchè Claire, la protagonista di questo romanzo (prima bambina, poi ragazza, poi donna), ama: in un certo senso scopre di amare, come scopre molte altre cose e per amore è disposta a rinunciare a tutto. Un bellissimo capitolo finale, in cui tutti i fili convergono in un arazzo complesso e ricco di colori, con una piccola pecca: ma i tessitori di tappeti persiani lasciano sempre un difetto nelle loro opere, per non tenerne imprigionata l’anima: che la Lowry abbia fatto lo stesso?