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Ho provato a leggere un altro libro di questo autore, ma il giudizio è rimasto il medesimo: molto, troppo prolisso, particolari che non servono a nulla, se non ad appesantire il libro. Un 2 solo perché la storia è originale e ci fa entrare bene nella nostalgia del protagonista.
Il solito, eccellente Mankell. Ho letto praticamente tutti i suoi libri, questo è uno degli ultimi due o tre che mi mancavano. La storia è originalissima,l’interesse cresce man mano che si legge il racconto. Unica nota stonata, un frequente quanto immotivato ricorso alla descrizione di particolari sessuali e/o altre schifezzuole varie Stupisce questo, in un autore come Mankell, il quale in genere non ha bisogno di occupare delle righe con riferimenti sessuali o dettagli truculenti , quando è a corto di elementi narrativi. A parte questi «inciampi» che a me danno particolare fastidio - ma sui quali molti altri sicuramente sorvoleranno - il libro è assolutamente consigliabile.
mi ha intrigato uno scrittore svedese che scrivesse del più grande deserto africano,anche se,all’apparenza, niente è più facile cambiare come il luogo in cui vivere….ed infatti il nocciolo del romanzo ruota proprio attorno alla mistificazione di questa considerazione,con l’ulteriore ingrediente di uno spirito da colonizzazione culturale «buonista». Tantissimi e molto attuali sono gli spunti, emotivi e cognitivi, che questo romanzo riesce a suscitare(dal significato dell’adozione alle varie nature della colonizzazione: esiste una colonizzazione buona?,alla costruzione del senso di identità e di appartenenza…), pur in una ambientazione vecchia di oltre un secolo molto ricco risulta l’affresco dei diversi paesaggi in sintonia con la diversità delle emozioni e degli stati d’animo. E’ un contributo decisamente notevole e poetico al dibattito e alla riflessione sull’immigrazione e sulla diversità e sulla complessità dell’integrazione. Mankell infatti evidenzia l’emarginazione più sottile e profonda dettata dal legame con le proprie radici, con la propria appartenenza, che produce un autoallontamamento pervaso di incurabile malinconia e tristezza, una infinita elaborazione del lutto per ciò che si è perduto e l’ossessione a ritrovarlo.