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Il lamento dell'insegnante

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Titolo: <strong>Il lamento dell'insegnante</strong></br></br>
Autore: <strong>Alessandro Banda</strong></br></br>
Editore: <strong>Guanda</strong></br></br>
Pagine: <strong></strong></br></br>
Anno edizione: <strong>2015</strong></br></br>
EAN: <strong>9788823508460</strong></br></br>

<p>Sono almeno duemila anni che ci si lagna della scuola. Con un'impressionante costanza di argomentazioni, espressioni e perfino parole singole. L'insegnante di lungo corso Alessandro Banda passa in rassegna tale esteso lamento bimillenario. A partire da testi di Orazio, Petronio, Giovenale, Sant'Agostino, Dante, attraverso le opere di Rabelais e Montaigne, per arrivare fino a Thomas Mann, ci mostra come nel corso dei secoli gli insegnanti siano sempre stati malpagati, le strutture insufficienti, gli studenti ribelli e somari e le lezioni noiose. Non c'è nulla di nuovo sotto il sole, insomma. E forse non ci sarà mai... Perché a termine della scorribanda storico-letteraria il professore trae le sue conclusioni: la scuola non cambia perché non può e non deve cambiare. È meglio tenerla così com'è. Una tesi del tutto fuori dal coro che non mancherà di trovare oppositori feroci ma di far sospirare ad altrettanti: "Finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di dirlo".</p>
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Interessante (ed erudito) excursus di lamentazioni sulla scuola, da Orazio a Thomas Bernhard : per capire che sull’istruzione obbligatoria, mutatis mutandis, si lamentano sempre le stesse e medesime cose. E infatti è proprio questo il nòcciolo del problema: quando mai apprendere obbligatoriamente qualcosa ci ha reso disponibili all’apprendimento stesso? E men che mai felici, ma neppur contenti…di entusiasmo, poi, non se ne parla. Pensiamoci bene: appartiene all’esperienza di tutti noi, accaniti lettori che sguazziamo felici nel mare di parole da noi liberamente scelte, il fatto indubitabile che la costrizione scolastica a leggere ci ha reso invisi tanti capolavori (recuperati poi in altri tempi e in altre età della vita). E allora? Dobbiamo cambiare radicalmente la scuola? Dobbiamo abolirla? Ma no. la scuola è palestra di vita anche per questo. Sentiamolo dalle parole ironiche e argute del nostro prof: «Perché lamentarsi che la scuola soffochi il genio? È esattamente quello il suo compito. Perché lamentarsi degli insegnanti impreparati, o ingiusti, o dai nervi labili? Sono come devono essere. Perché lamentarsi dello scadimento degli studi? Gli studi scadono da sempre, e sono scaduti da sempre, se è vero, com’è vero, che già Tacito e Petronio la stigmatizzano, quest’eterna decadenza degli studi. E tutti quelli che vengono dopo Tacito e Petronio non sono che sfiatati epigoni, ripetitori dell’infinita ripetizione - del lamento. Perché lamentarsi della noia? È una componente essenziale della scuola. Ed è, inoltre, la noia, il più sublime dei sentimenti umani: non poter essere soddisfatti da alcuna cosa terrena, considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio e il numero e la mole meravigliosa dei mondi - e trovare che tutto è poco e piccolo rispetto alla capacità del proprio animo considerare l’universo infinito e sentire che la nostra immaginazione è ancora più grande, più vasta, più estesa, di quell’ infinito universo.» E quindi: W la scuola, così com’è.