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Libro scritto (bene) ai tempi del ‘niente sesso siamo inglesi’. Per fortuna, dopo qualche anno, sono arrivati Christine Keeler, i Beatles, i Rolling Stones, Mary Quant, Barbara Ulanicki, eccetera e le cose si sono normalizzate. Speriamo anche per l’innocente, piagnucolosa e un po’ tonta Antonia Fleming, che aveva uno sguardo tutt’altro che lungo. Pietro Marsi
C’erano tutte le premesse per un lavoro indimenticabile: il vissuto dell’autrice, la tematica, l’originalità della struttura narrativa «a ritroso
Storia a ritroso di un matrimonio, dei suoi silenzi e delle sue trame. Ma anche sguardo preciso e dettagliato sulle relazioni umane, i suoi equilibri, sull’infelicità, l’indifferenza e il desiderio, sull’evoluzione interiore che da fiduciosi e scompostamente ingenui porta ad essere distaccati e saggi. («Lei scoprì, molto più tardi che ogni emozione di una certa intensità è sempre sfuggente e difficile da tenere a mente nei dettagli, che solo le sue frange più pratiche, i luoghi comuni a essa associati restano vividi nella mente, e che il ricordo di tutto questo serve solo a nascondere il nucleo o l’essenza di un’esperienza vissuta con tale intensità»). L’autrice ha l’ossessione dello sbaglio e di chi commette l’errore, di chi così si procura l’infelicità, con un’inquietudine che forse deriva dalla consapevolezza di non poter comprendere la natura umana, ma tuttavia caparbiamente sperando sempre nel tentativo. MERAVIGLIOSO romanzo di una scrittrice libera ma consapevolmente sola e incasinata. «Mi chiedevo se una donna possa davvero essere sempre padrona di se stessa, di un uomo e della situazione. Soltanto, penso, nel caso in cui né l’uomo né la situazione ne valgano la pena».
Di tanto in tanto la miniera della narrativa novecentesca a torto, evidentemente, ritenuta esaurita, rivela qualche filone dimenticato, come questo bel romanzo (del 1956) di autrice a me finora sconosciuta e a quanto ho capito mai pubblicata in Italia. E’ la storia dell’evoluzione di una donna, da giovane e candida lettrice di Jane Austen a moglie di mezza età, indurita e disillusa da una vita matrimoniale a dir poco deludente. Detta così pare poca cosa, però i cambiamenti dei sentimenti e della psicologia della protagonista sono resi con finezza, e con uno stile a tratti veramente notevole per eleganza, tanto da rendere la lettura appassionante nonostante l’assenza di colpi di scena o variazioni sul tema. Il pregio principale del romanzo è la ricostruzione della storia fatta per blocchi temporali (che rendono i momenti chiavi omogenei e trattati con profondità) ed a ritroso nel tempo anziché seguendo il naturale succedersi degli eventi. Un espediente narrativo, questo, non fine a sé stesso, bensì scelto (credo) per fissare nella mente del lettore i momenti chiave del vissuto della protagonista. Peccato solo per un eccesso di prolissità in alcuni punti (la lunghezza di un libro non è mai troppa solo se narrativamente indispensabile, secondo me, e in questo caso, l’a. avrebbe potuto «sforbiciare» un centinaio di pagine senza far perdere nulla alla storia) e per l’evidente debito, specie nella fase iniziale, nei confronti della Signora Dalloway… pur sapendo nulla di Elzabeth Howard sono pronto a scommettere che la Woolf era tra le sue letture preferite. Un ultimo «avvertimento». non regalatelo a chi sta per sposarsi… in circa 500 pagine di romanzo non c’è una sola coppia che sia solo ragionevolmente felice …oppure regalatelo proprio per questo, come memento! Fate voi.