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Credo sia tra gli obiettivi di questo libro mettere alla prova chi legge: lo smarrimento è necessario, riflette il pensiero dell’autore e salva l’autenticità dell’intenzione. L’idea del labirinto è, di fatto, almeno per me, la cosa più vicina alla descrizione dell’esistenza umana. Nella visionaria miriade di vie in cui il personaggio creatore si decortica, la strada dolorosamente trova la maniera di ricomporsi, riemerge dai ricordi, dilaga nei mille volti del presente -che sono solo apparentemente slegati- e si propone come netta condivisione della conoscenza del male. E’ così che, dall’alto, lo vedi, finalmente, quell’intrico,quel mare, quella «legione». Il male che sì, è naturalmente ovunque, diventa necessario alla salvazione ché altrimenti il bene non ha motivo di risorgere:«come possiamo amare qualcosa che è già salvo? Come possiamo amare qualcosa che non sia imperfetto, fragile e perduto?»
La lettura è soggettiva. Non escludo che a qualcuno possa piacere, ma io non sono davvero riuscita a superare le prime 20 pagine.
Una vera delusione questo libro che aspettavo. Avevo letto interventi in rete del giovane autore Paolin e l’avevo apprezzato. Il libro è, invece, noioso, confuso, faticoso,farraginoso( arrivare all’ultima pagina è una vera impresa), con pagine cariche di moralismo e autocompiacimento. Compaiono, quasi a caso, personaggio completamente scollegati fra loro e si fatica ad afferrarne il senso. Una piccola nota: la copertina mi è sembrata talmente brutta che ho dovuto avvolgerlo con una carta da giornale. Sarebbe bello che piccoli editori cominciassero curando i libri e la veste grafica.