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Dove si scopre che possono bastare poche pagine per raccontare molte cose e creare infinite emozioni. La scrittura sudamericana si conferma una straordinaria fabbrica di opere letterarie di alto livello e dopo aver amato Vargas Losa , apprezzato Isabel Allende e molti altri ancora, devo dire che Sepùlveda mi sa stringere il cuore più di ogni altro, sapendo trovare le lacrime più nascoste. Il mondo alla fine del mondo è un romanzo breve che si legge in un giorno , immaginifico , terribile, avventuroso e sognante. Triste , ma non privo di speranza. Ha fatto di oggi , per me, un giorno migliore di altri. Provate a leggerlo , potrebbe capitare anche a voi.
In questo romanzo di Luis Sepùlveda è predominante il tema ecologico così come lo era stato per il precedente «Il vecchio che leggeva romanzi d’amore» e per il successivo e tanto fortunato «La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare».Con tale opera sembra che lo scrittore cileno abbia di proposito cercato un pubblico più ampio composto oltre che dagli adulti, soprattutto dai bambini. E chissà che alla base non ci sia stato una sorta di rinuncia dovuta alla convinzione di non poter determinare un’inversione di tendenza. Meglio, allora, rivolgersi alle nuove e ancora innocenti generazioni, meglio cercare di conquistare ad una giusta causa le coscienze non ancora formate e quindi non irrimediabilmente deviate di chi si affaccia or ora alla vita. Ma tornando a «Il mondo alla fine del mondo» l’autore veste i panni di un giornalista al servizio di un’agenzia che si occupa di problemi ecologici collegata con altre agenzie del genere e con varie organizzazioni ecologiste come Greenpeace, Comunidad e Robin Hood. Questo giornalista vive ad Amburgo e ad un tratto, per il sopraggiungere di nuovi avvenimenti che hanno a che fare con la sua attività, decide di ritornare al suo paese d’origine, il Cile, dopo molti anni di esilio per motivi politici. Il pensiero di rivedere la propria terra fa viaggiare la memoria e riporta indietro nel tempo il protagonista al periodo in cui viveva a Santiago. Aveva quattordici anni e la lettura di Moby Dick lo aveva folgorato. Gli era nato un invincibile desiderio di prendere il mare, di vivere un’appassionante avventura. Così a sedici anni aveva realizzato il suo sogno grazie anche all’aiuto di uno zio e si era imbarcato su una baleniera affrontando, prima di salpare, un lungo viaggio da Santiago a Puerto Montt, da Punta Arenas a Puerto Nuevo. Ma il sogno sarebbe svanito nella baia Cook nell’assistere all’uccisione di un capodoglio. Una scena così deludente da fargli comprendere che non avrebbe mai fatto il baleniere. La realtà non era come il romanzo: non c’erano balene come Moby Dick
Bellissimo libro da non perdere per nessuna ragione. Unico difetto: troppi nomi di stretti, insenature e fiordi con la necessità di tenere una cartina geografica a finco per capire la rotta delle navi.
Forse la tensione emotiva in questo romanzo è meno sottile di quella che si avverte ne «La frontiera scomparsa