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In voto è complessivo a tutta la trilogia, di cui questo «Il Paese che amo» è degna conclusione. Sarasso ha scritto un’opera monumentale di chiara ispirazione Ellroyana sulla seconda metà del ‘900 italiano: il consiglio, per chi ne fosse a digiuno, è di leggerla dall’inizio. Una piccolissima pecca: nelle parti svolte in Polonia si fa continuamente confusione tra Cracovia e Varsavia, come fossero un’unica città…
Ho amato moltissimo «Settanta» e speravo di leggere qualcosa dello stesso livello, ma è stata un pò una delusione. Forse perchè già conoscevo come le cose erano andate, visto che ho vissuto quegli anni, ma in generale il romanzo non mi ha preso come ha fatto il precedente. Sarasso è sempre bravo ma meno del previsto.
Grande Simone, chiude degnamente una trilogia fantastica, la scrittura è sempre tagliente ed incalzante e a tratti ricca di una nota umoristica mai fuori tema. Aspetto con ansia il suo prossimo lavoro. Voto maximo
Scrivo con un pò di dispiacere questa recensione: ho adorato i primi 2 capitoli della Trilogia (nonchè Invictus) ed aspettavo con ansia questo libro. Purtroppo devo dire che in questa occasione il progetto di ripercorrere gli anni che hanno segnato l’Italia ha mostrato la corda. Forse gli anni ‘80, più vicini e realmente vissuti dall’autore (ed anche da me), sono più difficili da rendere su pagina rispetto ai ‘60 ed ai ‘70 dei due precedenti capitoli, fatto sta che il libro non decolla. Anzi, in diversi punti ci sono trovate narrative discutibili, infantili direi, e la scrittura che soprattutto in Settanta era potente, tagliente e corrosiva, qui in diversi casi mi è sembrata un po’ sciatta e fine a se stessa. Sembra quasi che l’autore stesso senta meno questo romanzo, li dove c’era freschezza e immediatezza, qui leggo troppo «mestiere» e direi quasi «dovere». Do 3 stelle, perchè Sarasso mi piace molto e sono sicuro che questa è stata solo una caduta momentanea dovuta probabilmente alla necessità di chiudere il cerchio..ma rispetto ai capitoli precedenti, ne meriterebbe non più di 2