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Mah, un breve e buio romanzo che racconta la vita di una donna depressa e senza scopi nella vita e le sue vicissitudini come la morte della madre (una passiva indulgente), del fratello (un disperato infelice) e la degradazione del suo amante (un indegno egocentrico). Che dire? Ben scritto ma non era quello che mi andava in questo momento, fortuna che è stata una lettura breve…
«Dopo tutto, sono un aristocratico.» (p.136) afferma, accorato, Naoji che insieme alla narratrice Kazuko, alla loro genitrice («l’ultima signora del Giappone» - p.106) ed al mentore di Naoji, il romanziere «maledetto» Uehara costituisce il quadruplice protagonista di questo romanzo di Dazai, autore in cui vicende esistenziali e materia di prose sono così difficilmente districabili tanto la vita del medesimo è stata una voluta «opera d’arte» a quella maniera assai bohemienne con cui le menti più acute e sensibili del Giappone alla vigilia della rovinosa sconfitta nella II Guerra Mondiale sempre hanno guardato, con ammirazione sconfinata e smisurato spirito mimetico, alle scene di vita europee ed, in particolare, francesi. E’ un Giappone che, franto dalla guerra e piegato sotto il giogo economico non meno che culturale dell’Occidente anglosassone, con somma fatica e disagio tenta la propria ricostruzione sociale. E’ un Sole calante (questo il titolo della versione americana su cui, curiosamente, l’editore manda ancora in stampa la traduzione pur con la firma gloriosa ed oggi acclamata di Luciano Bianciardi ma sempre di dubbia operazione filologica si tratta) il Giappone che Dazai dapprima vive (randagio, votato all’autodistruzione ed al suo compimento, il suicidio cui approda prima dei 40 anni) e successivamente descrive. E paradigmatici sono divenute sia l’espressione che forma il titolo sia i personaggi (ma sarebbe meglio dire le 3 persone di cui l’autore si serve per narrare se stesso: Naoji ed Uehara per la decadente vita del letterato suicida, Kazuko per gli afflati tolstojani alla impossibile giustizia sociale) di questo romanzo in cui è palpabile l’ascendente della narrativa psicologica e d’introspezione di fine XIX secolo, Cechov e Balzac (citati peraltro) su tutti. Un grande romanzo, non perché alla moda d’Occidente ma perché peculiarmente giapponese (la soffusa insistenza sugli aspetti floreali, sulle convenzioni), di quel Giappone così affascinato dall’Europa da viverla di vita propria, con personalità.
Dazai è stato per me una scoperta emozionante. In questo libro la dolcezza di Kazuko, la fragilità di Naoji, l’amara dissolutezza di Uehara, mi hanno introdotto in una cultura lontana, ma con tale efficacia da farmela vivere con grande familiarità. E’ stato facile innamorarmi di questi personaggi che Dazai, attraverso il testamento di Naoji, definisce «vittime di un periodo di transizione della moralità»…ed è forse proprio in questa definizione che si rivela quel misterioso senso di modernità che sembra pervadere tutto il romanzo.
Dazai Osamu e’ l’autore di noi giovani. Per definizione. Privo di un disegno veramente organico, rotante intorno a un personaggio tanto vigoroso quanto contraddittorio, Il sole si spegne e’ anarchico confliggere di tensioni ora nichiliste (ribellismo fine a se’ stesso e poesia dell’autodistruzione) ora umanitariste (vagamente toltsojane, marxiste, cristianeggianti, tutto insieme). Probabilmente il suo capolavoro.