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Ci sono canzoni che segnano un’epoca come pietre miliari una strada. Per esempio il testo Suzanne del grandissimo ed amato Leonard Cohen, poi ripresa anche dall’altrettanto grande Fabrizio De André, che sicuramente ha segnato un’epoca davvero indimenticabile e mirabilmente raccontata ne «Il Vangelo secondo Leonard Cohen-Il lungo esilio di un canadese errante» che racconta una giornata del lontano 1964, trascorsa dall’autore sulle rive del fiume San Lorenzo, ospite nella casa di Suzanne Verdal, nota coreografa e ballerina, nonchè moglie di un suo carissimo amico, lo scultore Armand Vaillancourt. I due chiacchierano amabilmente sorseggiando del the’ sulla veranda, lo scorrere dell’acqua accompagna le loro parole, gli sguardi e i silenzi. Null’altro, eppure la peculiare scansione poetica dell’autore riesce poi a tradurre un incontro banale e dall’apparenza innocente in un brano letterario musicale denso di emozioni profonde quanto un vero e proprio sentimento, sublimandole con una recondita impronta salvifico religiosa. Certo parlare d’amore virtuoso ai tempi di quello virtuale potrà sembrare un tantino anacronistico, ma in fondo entrambi sono fatti della medesima sostanza perchè i sentimenti non trascorrono con il mutare delle stagioni e il loro destino è simile a quello dei semi sparsi dal contadino nel campo appena arato, su mille forse ne germoglierà alfine uno solo. Un’antica leggenda indiana narrava come ogni notte la luna trasformasse gli amori morti ancor prima di nascere in gocce di rugiada e che la mattina seguente i raggi del sole li incendiava per farne stelle da condurre in cielo. Sarà forse per questo che l’universo è infinito e pure in via d’espansione.