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non ho mai sospeso un libro in vita mia. beh sono arrivata a pagina 31 ed ho mollato. impossibile continuare. difficile da leggere, prolisso e terribilmente noioso. ripete cento volte lo stesso concetto. orribile.
Libro terribile ed allo stesso tempo delicatissimo. Herta Muller ci descrive l’intima disperazione dei campi di prigionia sovietici dove la vita si aggrappa ad ogni particolare, ogni privazione, ogni singolo oggetto per perpetuare un umanità fiaccata ed ormai dimentica di qualsiasi dignità. Ombre di persone si muovono in un impalpabile poesia della sofferenza. Personaggi indimenticabili marchiati, impregnati della vita dei campi, ormai incapaci di muoversi in un’altra realtà, ci commuovono facendoci inorridire. Nessun giudizio, nessuna condanna, soltanto una descrizione allucinata in cui la fame assume reale consistenza e le cose si umanizzano con ciclo inverso alla spersonalizzazione degli internati. Libro da centellinare, da assaporare, la cui intensità è accuratamente dosata per non scadere in pietà. Un’Herta Muller in stato di grazia che riesce a restituirci l’essenza di un orrore mostrandocene un inedito lato poetico.
Un romanzo-non-romanzo quello del premio Nobel Herta Muller che lascia davvero il segno: non c’è una trama vera e proprio perchè nel lager il tempo non passa mai e allora e la magistrale narrativa dell’autrice a trasmettere colori, odori, rumori, sentimenti, angosce dei protagonisti. Certamente un testo lento e non semplice che può essere apprezzato a patto di accettarne il contesto.
Come in un altro caso (Jelinek) mi chiedo dove stia la grandezza di questa autrice. Sono a metà del libro e faccio fatica ad andare avanti, non è la durezza della storia che mi spaventa e neppure l’annientamento dell’individuo che emerge. Ho letto un libro dai contenuti non meno duri (Diari di Etty Hillesum) ma non riuscivo a chiuderlo neppure quando il sonno aveva la meglio.