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Quanti romanzi abbiamo letto sul tema del passaggo dall’adolescenza all’eta’ adulta’, sulle difficolta’ di adattamento dei trentenni, quarantenni, ma anche 50enni, ad una vita che non corrisponde al proprio ideale agognato da ragazzi? Siamo ancora li’? Sinceramente son stufo: sono nato nel 1963 e le vicende raccontate in questo lungo e malinconico racconto ,le percepisco e vivo quasi in prima persona proprio, perche’ scritte da un coetaneo genovese, polemico e sfigato che molto mi assomiglia…xo’… xo’ ripeto mi son stancato di leggermi allo specchio e masturbarmi cerebralmente! Credo che alla fine la vita vada accettata x quello che e’ e x quello che ci da, con delusioni e speranze, vittorie esaltanti (poche) e sconfitte brucianti (ah quante). Noi siamo veramente il prodotto di quello che abbiamo contribuito a costruire, con i ns errori e i ns sbagli. La tematica del SE non mi appartiene piu’… Il protagonista poi, forse proprio xke’ molto simile, mi innervosisce ad ogni pie’ sospinto. Il libro alla fine e’ scorrevole e si lascia leggere in poco tempo. Ma, come mi e’ gia’ capitato di scrivere in altre recensioni, non sempre e’ un bene…anzi
Stefano Amici è uno strano tipo che prende una singolare decisione, vista la sua età. Crede di non avere più niente da dire e da ascoltare e perciò si isola da tutti ha vent’otto anni e vuole riflettere sulla propria vita. Ovviamente i ricordi del passato sono i primi ad emergere, e apprendiamo che i suoi più cari amici erano Mario, che andava sempre in cerca di ragazze e per questo era soprannominato Ventosa, Robi e il piccolo Teo, che però tanto piccolo non era, dato che aveva diciotto anni. Una volta si mettono in testa di girare l’Europa in treno, ma lui, eternamente indeciso, non è convinto di quel viaggio, che infine farà e sarà una delle cose più belle della sua vita. Il lettore è presto conquistato dallo stile del narratore, piacevole e frizzante, carico di quell’humour che ti strappa il sorriso anche nei momenti in cui, per ciò che ti accade, vorresti piangere. E ci si domanda come possa quella prorompente energia che deriva dal passato provocare in un uomo una decisione così estrema come l’isolamento e il silenzio. L’autore sembra suggerirci che la vita ci dà una sola occasione per scoprire ed essere noi stessi. La dobbiamo riconoscere, afferrare, conservare, non nascondendo mai ciò che ci sta cambiando. Restare anche nel cambiamento ciò che siamo stati un tempo, è, però, una sfida da cui non è facile uscire vincitori.
Un libro dal forte impatto emotivo e pervaso da un incessante senso di malinconia. Una bella storia che aiuta a pensare…
Scritto con brio ed aderenza nelle parti che riferiscono dell’avventura giovanile in treno, smagate le pagine che descrivono la crisi del protagonista, autoconfinatosi in una sorta di mutismo d’elezione. Che cosa succede ai trentenni, almeno a quello descritto da Paglieri, incapaci di immergersi nella propria vita, di godersela o di patirla, in grado solo di nascondersi e di dedicarsi al ricordo dei bei tempi che furono? Non è quest’ultima un’attività tipicamente senile? Si dice che crescere/maturare sia un processo faticoso: non è che qui si pratichi l’abiura all’età adulta?