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»?in questi casi si dava la colpa non alla Natura ma alla buffa, la femmina del rospo che, se uno la guardava negli occhi, gli faceva l’incantesimo e non cresceva più. I ragazzi avevano terrore della buffa?ci stava attento Gesù a evitare la buffa, non si poteva mai sapere se la diceria era vera?»: già da queste parole si può percepire la vena fiabesca e visionaria che pervade questa recente opera della scrittrice siciliana Silvana Grasso, «L’incantesimo della buffa» pubblicato da Marsilio, tutto il libro è un incantesimo che vi prende sin dalle prime pagine e vi affascina soprattutto per la lingua da lei creata che è come un «solfeggio linguistico» che sa miscelare il registro alto con il colore e il calore della lingua parlata e che va assaporato come un liquore fatto in casa, goccia a goccia, centellinandolo per apprezzarne meglio tutti gli aromi. Silvana Grasso pone questa sua storia in un paesino della periferia siciliana (che immaginiamo nella zona di Catania) durante la seconda guerra mondiale i protagonisti, commoventi e fiabeschi, sono due bambini, Gesù, dodicenne, e Tea, appena più grande, che alla loro tenera età hanno già vissuto sofferenze talmente grandi da averli fatti crescere prima del previsto. E intorno a loro ruota un’umanità straordinaria che tira avanti alla meno peggio continuando con i propri riti e credenze, con le proprie abitudini fino allo sbarco degli alleati americani che segna la fine del fascismo anche in quello sperduto paese sul mare siciliano. Su tutti domina la figura di Agostino, un essere poetico venuto dal mare e in fuga dal proprio tragico passato, che creerà un rapporto, a modo suo, d’affetto con Gesù e Tea ma che verrà nuovamente sommerso, nelle ultime pagine del libro, dai ricordi dolorosi, mai dimenticati, che lo porteranno a un epilogo che non vogliamo svelarvi.
La fine del fascismo e lo sbarco degli alleati aglo-americani alla fine della II guerra mondiale, raccontati attraverso le storie misere dei personaggi di un piccolo e sperduto paese della Sicilia. Da Agostino il gigante buono che aiuta il becchino del paese e che si prende cura in particolare delle tombe dei bambini, per un senso di rimorso che si porta dietro per non essere riuscito a salvare un suo compagno di orfanatrofio, a Gesù bambino orfano di madre e abbandonato dal padre emigrato in Australia che vive praticamente da solo e che fa amicizia con Tea, bambina cieca e figlia di un gerarca fascista e di una violinista austriaca. Tea dopo il suicidio della madre viene mandata nella villa paterna che si trova vicino al paese. Le storie di questi personaggi si intrecciano e tra di loro si crea un legame particolare e commovente. Più che un romanzo è una lunga poesia, con questa scrittura a volte troppo lirica, troppo astratta, troppo descrittiva delle emozioni e dei sentimenti, ma mai banale. Lo stile appartiene più a quello poetico di una poesia che di un romanzo, per cui per gustarlo a pieno devi centellinarlo come un bicchiere di buon vino se vuoi assaporarne fino in fondo il sapore.