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Straordinario, forse il migliore lavoro di Mankell. Incredibile che un’opera simile, pubblicata in Svezia nel 1990, abbia atteso 24 anni per essere tradotta e messa in circolazione in Italia. La storia di uno svedese che alla fine degli anni ‘60 arriva in Zambia, e vi rimane quasi vent’anni, trasformandosi in allevatore di galline, vivendo la ricca ma dura e pericolosa vita del bianco proprietario di terre e datore di lavoro, viene narrata con piglio deciso, descrizioni accurate, tanto dei personaggi quanto della situazione politica del Paese e della particolarissima situazione dei bianchi e dei loro rapporti con i locali. Il tutto, con frequenti flashback che riportano agli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza in Svezia. Impagabili i dialoghi, a volte surreali, con gli africani, il che fa percepire chiaramente le abissali diversità che esistono tra noi occidentali e la popolazione locale. Un libro eccezionale.
Piacevolissima lettura, di un continente saturo di contrasti. L’autore rende viva la sensazione d’insicurezza e di paura che si provano a vivere in un paese dove il presente e il futuro è molto nebuloso, ma che aiutano il protagonista della vicenda a crescere e a formarsi.
Una storia triste, divisa tra Svezia ed Africa (come Mankell stesso, d’altronde), dai personaggi tristi. Ma la tristezza di Mankell mi aveva conquistata già dai tempi del compianto Wallander e qui l’ho ritrovata ed apprezzata. 3 stelle e mezza.
L’autore ci racconta un’Africa contraddittoria e affascinante, l’incontro con un mondo mai del tutto comprensibile per i bianchi che se l’hanno sfruttata, sono stati anche capaci, come il protagonista, di amarla con slanci e paure. Ma per l’uomo che viene dalla gelida Svezia non si tratta solo di un viaggio in un altro continente, bensì anche di un percorso alla scoperta di sé stesso: dopo quasi vent’anni ripartirà cambiato, ma in pari con i conti lasciati in sospeso in patria. Da leggere, nonostante qualche lungaggine nelle retrospettive in flashback.