|
Bello, scorrevole, una lettura piacevole. La storia d’amore tra due donne così diverse, Nina ed Eva, raccontata con la giusta leggerezza, incuriosisce, ti prende e rimane sul filo fino alla sua conclusione. L’atmosfera un po’ torbida e un po’ sospesa che avvolge l’intera vicenda, il salire graduale della tensione, le mezze verità, l’esaltazione cardiopatica di dinamiche proprie di ogni relazione clandestina, la puntualità e la sfrontatezza nel non tralasciare neanche il minimo dettaglio, sono tutti elementi che fanno del romanzo una storia vera e completa. Indovinato lo scambio epistolare tra Nina e l’amico psicologo, utile a chiarire, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’oggettiva complessità psichica della protagonista. Sorprende l’incipit, quasi liberatoria, nel suo delicato lirismo, la chiusura.
Storia superficiale, oserei dire persino inutile, quella raccontata in questo romanzo: una donna annoiata e insoddisfatta della sua vita borghese, a cui però non intende rinunciare, che vive un amore (che definirei meglio un’infatuazione) per un’altra donna, concedendosi, nel contempo, avventure da poco con altri uomini? Che cosa intenderebbe rappresentare? Un inno alla libertà femminile? Una donna/protagonista che, pur non rinunciando alla «normalità» fatta di famiglia, figli, gatti e crostate, pensa di rinnovarsi ritagliando per sé uno spazio emozionale e trasgressivo, che di scandaloso, a dire il vero, ha molto poco, nel mondo di oggi. Insomma, non si raccontano altro che banalità, che lasciano l’animo del lettore del tutto indifferente. Un romanzo in cui, attraverso l’uso di una prosa essenziale, direi persino elementare, la libertà femminile si sostanzierebbe nel concedersi storielle extraconiugali, più o meno convenzionali, attraverso cui la protagonista appagherebbe il suo ego a mezzo di reiterati complimenti sull’aspetto fisico ancora piacente, a dispetto dell’età che avanza?. Mancano del tutto connotazioni sociali, tratteggi psicologici raffinati, riflessioni esistenziali, se non quelle banali e retoriche tipiche da romanzetto d’appendice?.
E’ una storia che rimane dentro quella di Nina ed Eva, una storia che diventa di chi legge e che va al di là dell’omosessualità nella maniera unica che è propria delle storie che sanno raccontare l’amore senza curarsi delle convenzioni. La dittatura dell’inverno è un libro che conquista con il garbo di una scrittura densa, ma mai stucchevole. Non c’è supponenza, o quella sottile arroganza mista ad autocompiacimento che, a volte, guida la mano di chi desidera scrivere di sentimenti forti con la malcelata convinzione di saperne di più rispetto a chi legge. La passione delle due protagoniste e le conseguenze di quella passione che influiscono sulla vita di chi orbita loro intorno, diventano, attraverso un processo di spontanea immedesimazione, del lettore, che le vive con gli stessi palpiti, le stesse strette allo stomaco e le medesime trepidazioni. Questo è un libro che si attraversa con i sensi aguzzi e gli occhi spalancati, un libro in cui ci si può riconoscere, insieme al quale si può sognare, e, soprattutto, emozionarsi.
Libro d’esordio decisamente inutile del quale si può fare volentieri a meno. Scritto con mano incerta si perde nei meandri di storie che vorrebbero scandalizzare ma che risultano, alla fine, elucubrazioni di borghesi in perenne deficit di emozioni. Che chi gestisce librerie faccia anche crostate (è il caso della protagonista) non rende meno amara la lettura dei capitoli che si susseguono all’insegna della noia più imbarazzante. La protagonista ama una donna? Buon per lei se ha fatto finalmente outing…