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lento, noioso, trama incosistente pur partendo da un’idea carina. Ho fatto davvero fatica a finirlo. Una delusione
Piacevolissimo da leggere, coinvolgente, ricco di spunti interessanti, sia su temi di attualità sia su questioni fondamentali dell’esistenza. E fate bene attenzione, vi prego, al finale: apparentemente bizzarro, enigmatico, poi lo senti poetico, quasi magico, immagine che ti resta dentro come un quadro animato, un colpo di genio che conclude con autentica maestria letteraria quello che sarebbe stato comunque un bel romanzo, e così lo è ancora di più.
Tipicamente americano ma tenero e commovente, questo romanzo ti «prende» e ti porta nella vicenda delle due famiglie facendoti diventare un parente acquisito che assiste alle varie scene.
All’aeroporto di Baltimora, un Ferragosto, si trovano due famiglie per lo stesso motivo, cioè l’arrivo dalla Corea di due bambine molto piccole destinate ad essere adottate. Gli Yazdan sono di origine iraniana, qualcuno nato in Iran e trapiantato in USA a seguito di eventi anche traumatici, (come Maryam, la vera protagonista del libro), altri nati in USA i Donaldson sono in tutto e per tutto all-american, un po’ new age e molto politically correct. Le due famiglie fanno amicizia e i contatti proseguono negli anni a venire i Donaldson organizzano spesso sontuose feste per le occasioni più incredibili, gli Yazdan, soprattutto Ziba, hanno una sorta di reverenza nei loro confronti e li assecondano, li considerano un po’ come loro modelli di “americanità”. La bambina Yazdan diventa subito Susan e viene allevata facendo del proprio meglio da una famiglia che ha conservato alcuni tratti iraniani, ma che in realtà in USA si trova bene economicamente e socialmente la bambina Jin-Ho resta Jin-Ho e viene cresciuta come coreana, o meglio, secondo l’idea di Corea da cartolina che hanno in testa i Donalson. Risultato: due bambine entrambe perfettamente americane. Il tema principale del libro, a mio parere, sono le difficoltà dell’integrazione degli immigrati, soprattutto di fronte alle persone di ottima volontà e di sentimenti delicati che, con l’esercizio della loro cautele e della correttezza politica a tutti i costi, rischiano di ricacciarli indietro continuamente in un ghetto da cui queste persone, come qui gli Yazdan, sono usciti volentieri e da tempo, o magari non ci sono mai entrati perché nati negli USA. Il libro risulta spesso divertente, molte volte ironico, mai noioso (neanche nelle interminabili riunioni di famiglia), e pieno di momenti veramente toccanti e sinceri: la scena all’aeroporto, che si richiama strettamente a una vera nascita in ospedale tutti i monologhi interiori di Maryam, forse il personaggio più bello e compiutamente sviluppato tutti e due i brani sulle difficoltà di avere figli.