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La mia stirpe

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Titolo: <strong>La mia stirpe</strong></br></br>
Autore: <strong>Ferdinando Camon</strong></br></br>
Editore: <strong>Garzanti Libri</strong></br></br>
Pagine: <strong></strong></br></br>
Anno edizione: <strong>2012</strong></br></br>
EAN: <strong>9788811686798</strong></br></br>

<p>La mia stirpe è il racconto dell'immortalità attraverso la specie: il protagonista sente che, quando non ci sarà più, la nipotina che ora tiene in braccio farà rinascere, ma sente anche di essere stato presente, prima di nascere, nell'amore tra il ragazzo e la ragazza che saranno i suoi genitori. È l'amore del primo Novecento, quando la ragazza temeva di restare incinta per il bacio di un uomo. Ereditando le vite dei padri, il figlio eredita il dovere di realizzarne le missioni incompiute: vendicarsi per quel che han patito nella prima e nella seconda guerra, qui rievocate per squarci fulminei e potenti, e arrivare a un contatto con la più alta istituzione della Terra, custode e garante della verità in cui credono. È la loro "gita al faro", l'impresa che dà un senso all'esistenza. Il padre e suo padre non ci sono riusciti. Ora tocca al figlio. L'incontro col successore di chi ha portato la verità sulla Terra avviene davanti al Giudizio Universale di Michelangelo e trova le parole umili e commosse delle grandi narrazioni mistiche.</p>
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Si arriva a un momento della vita in cui, ricollegandosi idealmente al passato, si cerca di dare una soluzione all’eterno problema di ogni essere umano, cioè si aspira a che ci sia una continuità, a che resti una traccia di noi per il tempo in cui non ci saremo più. Camon, nella dolorosa circostanza della grave malattia che colpisce il padre, cerca questo filo ideale che si perpetua nei secoli, così che ognuno di noi esiste perché qualcun altro è venuto prima e di lui portiamo segni inequivocabili, una parte del dna che accomuna i bisnonni ai nonni, ai figli dei nonni, cioè i nostri genitori, noi e i nostri discendenti, un segno indelebile, incancellabile che insieme costituisce traccia e presenza anche quando la nostra vita sarà cessata. Il suo è un racconto in prima persona, in cui la figura paterna assume una dimensione quasi mistica e se in Un altare per la madre proprio il padre aveva elevato, con commosso omaggio, un’ara a perenne e perpetuo ricordo dell’amata scomparsa, in questo libro lo scrittore padovano diventa l’officiante di una liturgia commemorativa della figura del genitore, più presente nelle prime pagine, assente nominalmente nelle ultime, anche se sempre aleggia la sua personalità, perché la vita è così, perché di chi ci lascia portiamo in noi, oltre che la memoria, alcuni tratti distintivi, così che di ognuno possiamo dire che è parte di una determinata stirpe. La mia stirpe è il racconto appassionato di un credente che aspira a un’immortalità terrena grazie alla stirpe di cui è parte è forse un sogno a occhi aperti, ma credetemi se vi dico che è un bellissimo sogno.

Il libro di Camon è excursus su quelle che sono le piccoli grandi caratteristiche che contraddistinguono tante persone, cioè l’essere volenti o nolenti appartenenti ad una stirpe(o una razza) e portarsi nel dna e nell’atteggiamento e nella fisiognomica tutte quelle peculiarità che caratterizzano le persone. Lo scrittore fa risaltare in queste pagine innanzitutto, per quanto mi riguarda, quella fierezza e quel saper stare coi piedi x terra e quindi molto concreti tipico delle persone che hanno lavorato la terra. Camon descrive prima il modo di fare del padre, contadino, e poi suo cioè di uno scrittore e quindi dei figli che svolgono lavori dei più vari(uno prof universitario a Bologna, l’altro sceneggiatore a Los Angeles) bene in tutte queste persone c’è un filo conduttore comune che li caratterizza: una forte fede poco esternata ma molto profonda ed interiore, ed il voler a tutti i costi voler mantenere un forte legame con le persone consanguinee anche se residenti in posti molto distanti fra loro. Altra nota da segnalare e sottolineare riguarda le caratteristiche fisiognomiche, molto toccante e commovente quando Camon descrive prima sua madre con i suoi movimenti di qua e di là con il capo e sopratutto di una cisti cutanea che aveva in testa…cisti che ritrova nella testolina di sua nipote una volta che gli accarrezza la testa. Ragguardevole anche il voler a tutti i costi regalare una soddisfazione al padre semi morente, cioè cercare di portargli un saluto del Papa, figura carismatica sempre amata da suo papà. Ho trovato un pò scollegati i passaggi in cui l’autore critica abbastanza duramente Vittorio Emanuele di Savoia ,certi modi di pensare degli islamici, Dario Fo e anche Nanni Moretti, ma d’altronde è un libro sfogo, un libro verità e quindi lo scrittore non si è risparmiato.

Si arriva a un momento della vita in cui, ricollegandosi idealmente al passato, si cerca di dare una soluzione all’eterno problema di ogni essere umano, cioè si aspira a che ci sia una continuità, a che resti una traccia di noi per il tempo in cui non ci saremo più. Camon, nella dolorosa circostanza della grave malattia che colpisce il padre, cerca questo filo ideale che si perpetua nei secoli, così che ognuno di noi esiste perché qualcun altro è venuto prima e di lui portiamo segni inequivocabili, una parte del dna che accomuna i bisnonni ai nonni, ai figli dei nonni, cioè i nostri genitori, noi e i nostri discendenti, un segno indelebile, incancellabile che insieme costituisce traccia e presenza anche quando la nostra vita sarà cessata. Il suo è un racconto in prima persona, in cui la figura paterna assume una dimensione quasi mistica e se in Un altare per la madre proprio il padre aveva elevato, con commosso omaggio, un’ara a perenne e perpetuo ricordo dell’amata scomparsa, in questo libro lo scrittore padovano diventa l’officiante di una liturgia commemorativa della figura del genitore, più presente nelle prime pagine, assente nominalmente nelle ultime, anche se sempre aleggia la sua personalità, perché la vita è così, perché di chi ci lascia portiamo in noi, oltre che la memoria, alcuni tratti distintivi, così che di ognuno possiamo dire che è parte di una determinata stirpe. La mia stirpe è il racconto appassionato di un credente che aspira a un’immortalità terrena grazie alla stirpe di cui è parte è forse un sogno a occhi aperti, ma credetemi se vi dico che è un bellissimo sogno.

Con questo bel romanzo Camon torna sui temi che gli sono propri (il mondo contadino e la sua scomparsa), rivisitati con uguale e partecipe emozione, ma con una più matura e sottilmente ironica visione di ciò che in questi decenni siamo riusciti a raggiungere,o a perdere,come collettività.L’incipit della vicenda, sempre radicata nella storia della famiglia originaria dell’autore, è la malattia del padre,colpito da ictus e privato della facoltà di parlare. Intorno alla sua stanza d’ospedale si radunano i figli ormai maturi, e tutti in qualche modo estranei. Soprattutto ha tralignato lo scrittore,allontanandosi dalla civiltà contadina che l’ha partorito e cresciuto, dai suoi valori eterni e soffocanti, guadagnando in consapevolezza e forse in infelicità. Eppure al capezzale del padre, il figlio intellettuale si ritrova a considerare le sue origini come fondanti e vive, fertili e castranti insieme: sente la colpa di avere tradito e l’orgoglio di aver osato percorrere nuove strade,rinunciando a tradizioni millenarie, ma anche a superstizioni ottuse. Nel padre morente rivede i suoi lineamenti, quelli dei suoi figli e nipoti,le stesse abitudini fisiche e malattie che si tramandano da generazioni.Ripercorre quindi la storia del nonno e del padre, soldati nelle guerre mondiali: entrambi avevano fatto il voto,mai mantenuto,di andare in pellegrinaggio dal Papa in atto di riconoscenza e sottomissione. Tocca al figlio scrittore, ora,rispondere a quella chiamata: al suo cattolicesimo mai rinnegato, ma certo più annacquato e critico di quello dei parenti contadini.Il papa tedesco lo convoca insieme a 250 artisti internazionali cui viene demandata la trasmissione del messaggio cristiano nel mondo. Lui, ironico e contrito,si genuflette davanti al Vicario di Cristo,offrendo alla sua benedizione le fotografie dei parenti che nasconde sotto la camicia,a implorare un viatico per tutta la famiglia, dispersa in luoghi e abitudini lontane. Destini diversi, un’unica stirpe.