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un libro dove si impara ad amare la libertà. ogni mattina per andare a lavoro attraverso via piave ed altre strade del centro di roma che raccontano quei momenti di amore e gloria che hanno permesso a questo paese di essere libero e forte ho ritrovato nel libro di bocca emozioni e sentimenti e orgoglio di essere italiano
peccato che chi mi ha preceduto nello scrivere recensione, non sia in grado di capire l’importanza del personaggio che ha demolito con tanta veemenza e odio. odio, naturalmente chi accusa gli altri di rivolgere il proprio odio in modo acritico è spesso e unicamente permeato di cecità e incapacità a connettere, assorbito dalla propria «pancia». peccato. ma veniamo al libro in oggetto, non certo uno dei migliori di giorgio bocca, eppure interessante per delineare un’ulteriore aspetto della lotta partigiana. il testo viaggia tra cronaca e racconto, tra fatti e impressioni personali, meno interessanti forse rispetto alle altre sue storie sul periodo della resistenza. eppure completa una stagione fondamentale, nella quale si è costruita la repubblica e la libertà. quella stessa libertà che ha permesso di scrivere la vuota e inutile recensione che precede la mia. all’epoca c’erano due parti, una giusta, quella che voleva la libertà (tra l’altro bocca non era comunista, ma apparteneva al partito d’azione, privo della pur minima istanza sovietizzante) e una sbagliata, quella che consegnò la nostra patria, quella di cui cianciano i destrorsi di oggi, alla germania nazista, quella che formulò le leggi razziali. bocca è uno dei padri della libertà, uno dei tanti, un grande giornalista e un grande uomo. non per questo il suo libro è bello, eppure si tratta di un testo interessante, certo incomprensibile per gli ignoranti.
Ecco la mia monetina tintinnante nel piattino di questo mediocre cronista, il cui unico talento è sempre stato l’odio. Oggi Bocca non lo legge più nessuno e quindi nemmeno i suoi ottusi fan possono recensirlo. Gli restano gli omaggi sinistri offerti un tanto al rigo dai suoi sodali di demenza (le eminenze grige delle pagine culturali): veri e propri inni alla memoria (di Bocca stesso) ammanniti come olio di ricino per aiutarlo a denigrare colleghi più bravi di lui. Sotto la cenere di tanta miseria, all’autore resta il vecchio «stile»: un mucchietto di rancore messo in pagina con quella consueta violenza che tanto piace ai «camerati rossi» (antifascisti militanti) dei quali egli è stato, è e morirà rabbioso ruffiano.