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Un libro che fa bene! Fa riflettere, fa sorridere, fa compagnia. La buona compagnia che è sempre più difficile trovare. Grazie ad un racconto fluido nel tempo e una scrittura «facile» e «leggera» (ma proprio era necessaria tutta quella parte statistica?!) ho ritessuto il percorso formativo (degenerativo?!) della scuola condividendone la lucida critica che viene fatta a tutto il sistema burocratizzato e disumanizzato. Ascoltare i giovani, e farsi guidare da loro, a volte sembra la spontanea e naturale soluzione per riappropriarsi della dimensione del «neo» docente, anche se una domanda rimane insoluta: «Basta veramente solo l’amore?»
Difficile, per me, una recensione all’opera prima di Nino Bindi,edulcorata dalla stima e dall’affetto che nutro per l’uomo,ma tant’è,la devo allo scrittore!Ho letto con il doppiaggio di sottofondo della voce di Nino, la risata al punto giusto, serio quand’il faut.Le mail dei ragazzi,gli aneddoti nella scuola…è una sorta di dissertation,in una atmosfera di leggerezza che ricorda Kundera,e riconduce,in una sorta di teletrasporto all’essere là, dove lui è stato e siamo stati anche noi,negli anni tremendi e magici della nostra vita. E, nello stesso tempo, non nasconde (ma forse è questo quello che Io vorrei leggervi) il velato senso di colpa di chi ha assistito, impotente, alla decadenza della nostra scuola,anche e sopratutto ad opera degli insegnanti della sua generazione, forse seduti su una cattedra/ripiego di una professione negata.Vero, l’insegnante carismatico che stabilisce un contatto umano, ha un ritorno in termini di rendimento, ma, a ben vedere questo è l’ennesimo fallimento della scuola, poichè non si affida al singolo la mancata progettualità dell’istituzione.
Le pagine più belle del lavoro, aldilà di ogni ragionevole dubbio -come dicono i giuristi- sono quelle di Annina la Rutelène. Avevo memorie scarsissime di quel tuo periodo: un’ustione sull’avambraccio di zia Isabella, l’ascolto di una radio e di un grammofono o di una pianola a cilindri e pochissimo altro tutto confuso e frammentario. Il nome di Annina pure mi era noto, ma non la sua altissima qualità. Era un’incursione su tali territori quello che principalmente mi aspettavo, oltre all’indefettibile Zitte Cumma’. E l’aspettativa non solo non è andata delusa, ma si è rivelata foriera di ben più corposi e interessanti frutti di quanti avrei potuto preventivarne, che si limitavano genericamente all’intensità dell’accelerazione emozionale. La bellezza di quelle pagine ha radici lunghe nella nostra famiglia, come si può vedere rileggendo gli ante e i postnati nei loro rapporti con il mondo dei sentimenti. Grande dominio di fiamme in nonno Nicola, una certa deriva sentimentalistica in papà e in parte in me, abilissimo nascondimento ironico in Yvonne. Potrei continuare, ma preferisco fermarmi agli esemplari scriventi. La novità che ci hai presentato risiede nell’abilità dimostrata nell’aver saputo ricondurre l’Io narrante di quei momenti al tuo Io-bambino, per cui tutto il colore e il calore di quelle scene davanti al focolare, trasmettono a noi lettori l’eccitazione fantastica in cui si sustanziano, perché in grado, circolarmente, di evocare e parlare al nostro Io-bambino. Senza dire che l’esempio, nel contesto della trattazione, è collocato in maniera formalmente e formidabilmente perfetta. Questo -mi duole dirlo- si chiama letteratura. Mi duole per te, beninteso, visto che ti pone già da ora in debito dell’opera seconda.
Un fine narratore racconta delle sue esperienze da insegnante. Nonostante un grande amore per la sua professione, riesce ad incidere poco nel mondo scolastico, che ha le sue prerogative ed i suoi tempi. Riesce sempre, però, ad avere una buona comunicativa con gli alunni, che offrono il loro contributo nella stesura del libro, attraverso le loro testimonianze ed i loro giudizi. Ne esce un libro piacevole da leggere, dove ognuno può trovare qualcosa di simile ai propri vissuti scolastici.