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memorie del più grande, vero conservatore italiano.
Il libro de qua inizia in modo forse un pò slegato, con il racconto di episodi di cui si ha difficoltà a cogliere l’importanza e il filo conduttore. Proseguendo nella lettura, tuttavia emerge come sempre la straordinaria dote di sintesi propria dell’autore. Splendida è la lettura comparata degli avvenimenti del «68» che Romano tratteggia dal suo osservatorio parigino. Notevole è poi la capacità nell’evidenziare le origini lontane dei vizi di oggi. Amare le pagini sulla conclusione del periodo moscovita dove l’autore sembra cercare rivincita. Interessantissima è poi l’ultima parte, forse quella in cui emerge maggiormente l’aspetto personale del libro. L’autore vi tratteggia la propria idea di conservatore. Il pregio come sempre è il coraggio di dire cose scomode, ma spesso di tutta verità: «…ho l’impressione che i conservatori liberali siano oggi più modernizzatori di molti sindacalisti, ambientalisti e cattolici di sinistra.» In conclusione un libro forse non dei più brillanti dell’Ambasciatore, ma senza dubbio utile e interessante.
Se ci devono essere i conservatori a tutto tondo, meglio che siano come Romano, cioè di media intelligenza e non del tutto sciocchi, cioè anche capaci di autoironia, e non rancorosi come la maggior parte dei conservator. Ma ci devono proprio essere i conservatori, cioè coloro che vorrebbero l’impossbile cosa di mantenere il mondo fermo in quanto adatto al loro tipo di vita? E che ne sa del mondo dei più questo signore che ha sempre visto il mondo da «finestre» dei piani alti? Sa che lui ha guardato. Ma se lo è mai chiesto da dove e che cosa stava guardando?