Mi chiamo Roberta ho quarant'anni guadagno duecentocinquanta euro al mese. Versione 2.0 Scarica PDF EPUB

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Mi chiamo Roberta ho quarant'anni guadagno duecentocinquanta euro al mese. Versione 2.0

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Titolo: <strong>Mi chiamo Roberta ho quarant'anni guadagno duecentocinquanta euro al mese. Versione 2.0</strong></br></br>
Autore: <strong>Aldo Nove,Federica Fracassi</strong></br></br>
Editore: <strong>Transeuropa</strong></br></br>
Pagine: <strong></strong></br></br>
Anno edizione: <strong>2011</strong></br></br>
EAN: <strong>9788875801496</strong></br></br>

<p>Questo è un testo d'inchiesta che indaga il "caso precariato": Nove usa la scrittura per mettere a nudo la realtà, in un canto sommesso e radicale sul sogno perduto di una generazione di adulti costretti a forza a rimanere bambini. La messinscena sceglie come nodo centrale il fatto che il precariato sia tutt'uno con le nostre esistenze e che si allarghi a macchia d'olio in territori considerati fino a poco fa zone franche, attraversando età e paesi e costringendo un'intera generazione all'impossibilità di progettare, di comprare una casa, di pensare a un figlio, a una famiglia. L'universalità delle storie dunque è il centro di questa ricerca letteraria e musicale che ha come protagonisti l'attrice, il musicista, il pubblico, persone vere che attraversano - e incarnano - il racconto.</p>
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Il nuovo realismo, dalla fucina ex cannibale il messaggio commerciale potrebbe essere il predetto, ma Aldo Nove, che aveva pubblicato questo testo per la prima volta nella collana enaudiana Stile Libero / Inside nel 2006, ripropone un aggiornamento 2.0 del «Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, gudagno 250 euro al mese…» per la storica e rimodernata Transeuropa. Perché, appunto, quest’opera di Nove è stata messa in scena dal regista Martinelli, diventando un monologo con voce recitante nel libro in questione, quindi, abbiamo davanti anche la versione «light» dello spettacolo teatrale, una sceneggiatura appunto interpretata da Fracassi e Baldoni, sempre «in fase di elaborazione». Nove con quest’opera rende sulla carta una porzione della realtà e dell’intimità che il precariato produce fuori e dentro la precaria e il precario, passeggiando, in mezzo a una serie d’ovvie ruzzolate dei protagonisti delle ‘scene’, in una miscela d’espedienti, diciamo lavorativi, che la gioventù d’oggi, cioè quella parte di popolazione italiana che naturalmente non può più avere venti o trent’anni ma deve persino arrivare a una quarantina a ottenere una specie d’impiego, ai quali il soggetto di turno è chiamato a sopravvivere. «Non c’è più la storia. Ce ne sono infinite. Le storie dei nostri vicini di casa. Dei nostri parenti. Dei nostri amici. Dei nostri genitori. Le nostre storie. Adesso. Parlano, queste storie, di drammi piccoli. Irracontabili. Tragedie normali. Meschine come la vita che ci hanno cucito addosso. Parlano di noi. Storie. Urgenti. Sono dappertutto. Vanno raccolte. Dobbiamo dircele»: l’incipt affidato alla voce di Guido è imperioso, nonostante non lo sembri, perfettamente capace di spiegare tutto il racconto, la summa delle storie minime che fanno una storia non più d’Esse in maiuscolo ma una Storia che è doveroso spingere nei fatti e per non lasciarsi quasi fuori dal concetto elementare di «fatto» (…)