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Questo libro lo consigliava il mio professore di storia dell’arte alle superiori, ma noi studenti eravamo troppo persi a perdere tempo in ideologie e cazzate da fare alla sera per prendere in considerazione un consiglio così strano. Non lo lesse nessuno. Sono passati vent’anni e l’esigenza di iniziare a dare retta al professore mi ha guidato nel frugare in quel poco che ho conservato del passato per recuperare i titoli dei libri che ci aveva indicato. Morte a Credito è una vita che avrei potuto vivere anch’io. Il protagonista si trova travolto nella marea delle situazioni sfavorevoli e mediocri, condizionato da personaggi che sotto un certo punto di vista gli vogliono bene, ma non perseguono il suo bene. Un tripudio di energie sprecate, capacità che si lasciano corrompere dalla pigrizia, goffi tentativi di guadagno. Una visione della realtà allucinata e forse per questo motivo, forse, più vera. Il tempo passa senza concludere niente di utile, collezionando fallimenti, ma senza mai cadere nella disperazione. Anzi è nelle situazioni più assurde che il protagonista si rivela capace di rimanere in piedi. Riesce ad andare avanti, si cava d’impiccio. La buona volontà non gli manca, cerca di vincere la contaminazione negativa delle situazioni e delle persone che lo circondano, ma è una battaglia che perde per stanchezza. La narrazione può essere uno chock se si cerca la scorrevolezza. le situazioni più drammatiche sono stemperate da accenti ironici, ci vuole intelligenza per riuscirci senza scadere nel ridicolo o nel patetico. Bellissima esperienza immedesimarsi nella quotidianità del protagonista, una quotidianità che molti altri uomini e donne avranno sperimentato se si considera il contesto storico e sociale in cui si svolgono i fatti.
«Il secolo scorso, io ne so qualcosa, l’ho visto morire…». Mort à crédit, pubblicato nel 1936 da Gallimard, quattro anni dopo «le roman de scandale
Un interminabile, noiosissimo catologo di meschinerie, bassezze, lordure, olezzi, bassifondi, amplessi animaleschi, in uno stile ossessivamente inframezzato da puntini sospensivi, divagazioni, vaneggiamenti. Il tutto non si risolleva neppure con il massiccio ricorso al turpiloquio di natura sessuofoba o, alternativamente, sessuomane, puramente fine a se stesso. Qualche uscita razzista e antisemita hanno completato il quadro di irritazione, unico esito della faticosissima lettura. Si salva qualche pagina qua e là, ma nulla a che vedere col «Viaggio
è possibile attribuire «5» come massimo voto…io gli attribuirei 1000, almeno…di gran lunga il romanzo più bello che abbia mai letto, una discesa negli inferi della disperazione, del nichilismo. Celine ripercorre gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, gli anni che precludono ad una vita di stenti e di privazioni, come si vedrà nell’altro capolavoro, «Viaggio al termine della notte». Una pietra miliare per me, personalmente, «la » pietra miliare….