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Un romanzo deludente, in cui si trovano molto raramente i pregi de IL MEGLIO CHE POSSA CAPITARE AD UNA BRIOCHE, libro che mi aveva entusiasmato. In questo secondo romanzo, Tusset sembra avere una buona idea di partenza, ma di non riuscire a svilupparla in modo adeguato: buono il personaggio di Pujol, insopportabili i capitoli di T a New York e senza costrutto tutta la seconda parte del romanzo, con salti temporali tra un capitolo e l’altro ed un finale assolutamente deludente. Peccato perché Tusset aveva dimostrato col suo primo romanzo di avere grandi potenzialità.
Ho comprato questo libro per il titolo e per la copertina: pessima scelta. La trama è inesistente, lo stile è quello tipico post-moderno dove si tritano insieme giallo/noir, commedia e farsa con l’intento di ricavare qualcosa di originale, non riuscendovi. I dialoghi, in particolare tra T e Suzanne, sono ridicoli. Da evitare
Esco dal coro dei commenti precedenti: io ho trovato il romanzo d’esordio di Tusset più frizzante ed originale. L’autore dimostra anche qui un grande talento narrativo, il romanzo è molto particolare e godibile, ma in qualche punto sono rimasto impantanato nella lettura, cosa che non mi è capitata con «Il meglio che possa capitare a una brioche».
Libro decisamente migliore del precedente («Il meglio che possa capitare a una brioche»). Che mi è piaciuto, sia chiaro. Ma che è, a mio parere, rovinosamente scaduto sul finale. Invece «Nel nome del porco» mantiene il ritmo fino alla fine. Scrittura brillante e lineare, trama non banale, Tusset è uno scrittore che consiglio vivamente.