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Geniale e sempre sorprendente! Si destreggia con le lingue che usa in modo magistrale e unico! Il suo racconto è semplicemente incantevole! Ti accompagna, con inusitata ironia, dentro la realtà senza che tu possa … resistere! L’ho ascoltato nella interpretazione di Fabrizio Gifuni: perfetto!
Che fatica! Gadda punta a fare Manzoni senza essere Manzoni (anche se alcune digressioni e approfondimenti sono pregevoli). A mio avviso, poi, utilizza - lui, non romano - in maniera avventata e poco appropriata il dialetto romanesco che si interseca con il semi-abruzzese di Ingravallo e con lo pseudonapoletano del Fumi. Un vero e proprio pasticcio linguistico, una resa discutibile che va a detrimento della qualità della narrazione.
Capolavoro? mah… «Delitto e castigo» è un capolavoro, il Pasticciaccio ne è la brutta copia, è appunto un pasticciaccio di libro di nome e di fatto. Puro esercizio di stile da quel punto di vista, e solo da quel punto, molto interessante. Buono per le scuole di giornalismo. Ma la trama, la godibilità nella lettura e l’arguzia finale non credo siano aspetti secondari per un libro (pseudo?-)giallo. Alcune pagine sono veramente belle, efficaci, potenti, ma sono perle isolate. Talento sprecato.
Dentro l’apparente struttura del giallo, assunta a mero pretesto, a mera occasione, il Gadda si produce in virtuosismi espressivi e concettuali ineguagliabili. Una sfida all’intelligenza e, perchè no, alla pazienza del lettore, chiamato a scendere in profondità (ahi, la fatica dello scavo), nelle pieghe delle lingue, delle teorie psicologiche e filosofiche, dell’italico contesto storico e sociale, accompagnato dall’ironia disperata dell’Autore e dalla sua sorvegliatissima sensibilità. Un testo che ad ogni pagina sbalordisce con invenzioni linguistiche e acutissime osservazioni, metafore inusuali e suggestioni introspettive. Una sorta di manifesto anticartesiano («contro Sherlock Holmes»), dove non vi è spazio per simmetrie illusorie, per trame consolatorie o facili appagamenti della curiosità superficiale del lettore. Ogni filo narrativo rimanda ad altro, ad altro agomento, ad altra digressione concettuale o descrittiva, ad altra immaginazione, senza possibilità alcuna di racchiudere l’inesplicabile male di vivere entro un ordine finito, foss’anche puramente formale. Il senso di non-finito che caratterizza la trama narrativa è il tratto distintivo del testo e del suo messaggio. La sfida della complessità, dunque, lanciata senza speranza di vittoria. Non resta che la dignità esistenziale della faticosa ricerca della verità, attraverso le parole una ricerca senza chances la cui originalità (ed autenticità) è attestata dalla felice invenzione di una forma linguistica (di più forme linguistiche) che eccede ogni schema convenzionale di comprensione e descrizione del reale una forma espressiva certamente ardua per il lettore, ma eccezionalmente interessante, prodigiosamente stimolante. La prosa di Gadda è uno spazio denso ed incommensurabile ove sperimentare uno dei piaceri più alti della lettura.