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a me è piaciuto molto
Dunque, a mio modesto avviso, non ci siamo. Non ci siamo proprio, per niente. Buoni i propositi, forse,ma la trama sa di ovvio e di risaputo con un finale che è, presumo involontariamente, più che grottesco, ridicolo. Toni da tragedia per partorire il classico topolino, anche come sceneggiatura. Perchè sa di televisivo, tutto questo, con diloghi che si alimentano di situazioni da piccolo schermo. Scherno, forse per il lettore? Ironia volontaria d’un giovin autore? Non so, è probabile. Io, sinceramente, mi sono un po’annoiato, leggendolo. I veri protagonisti li ho scovati in un alcolizzato cronico, buon segno, e nei maiali, intesi come suini. Forse, ma è un mio limite, sia chiaro, il titolo più azzeccato sarebbe stato: suini padani. Avrebbe alimentato un’ambiguità che si fa, nel procedere della lettura, assoluta certezza. Peccato, perchè il ragazzo le qualità le avrebbe. Sine qua non.
“Savana padana” è una storia di confini: il confine tra le città venete e i campi di mais che si estendono per chilometri e chilometri il confine, che come il muro di Berlino attraversa quartieri, strade, case, tra gli Italiani e i numerosissimi stranieri, più o meno accettati, più o meno integrati il confine tra la ricchezza economica e la povertà culturale. In queste frizioni, Matteo Righetto cerca la polpa per la propria storia: che è una storia noir e pulp allo stesso tempo, sanguigna e sanguinolenta, a tratti grottesca, fatta di eccessi e di contrasti, politicamente scorretta fino a diventare parodia Costruito con la forza di un plot cinematografico, serrato nel climax di orrori sempre crescenti, ridotto quasi all’osso dal punto di vista della lingua (che ricorre spesso a idiomi dialettali, o all’uso di lingue straniere), “Savana padana” arriva fino all’ultima pagina senza perdere mai ritmo, forza, intensità. E alla fine, l’impressione che rimane è che l’epica sgangherata, puzzolente, senza speranze, ridicolmente tragica e tragicamente ridicola di questi antieroi sia veramente l’unica epica ancora possibile. Almeno nel Veneto del ventunesimo secolo.