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Con questo stupendo testo Magris ci presenta un grande spaccato letterario sul valore di quelle esistenze, grandi e sconvolte, che, per eccesso di sensibilità, finiscono per ottundersi, per raggiungere l’autodistruzione. Timmel è il simbolo di quelle vite che affondano nella negazione di sè, drammaticamente spezzate ma riflettenti significazioni illuminanti sulla dimensione più fragile ed oscura dell’animo umano. Vita distrutta, quella di Timmel, ma presentata con un linguaggio che resta cristallino anche nel momento in cui diventa elegante ed articolato sperimentalismo, naturalmente aderente alla complessià espressiva di una vita frammentata. Magris utilizza in questo romanzo, per la prima volta, un lessico plurimo, sviluppato secondo coordinate che vanno dal livello forbito e articolato, al dialetto triestino depurato e reso accessibile ai più inoltre filastrocche, canzoni, gli interventi dell’amico Sofianopulo che, affascinato dalle suggestioni carnali, conciona Baudelaire. Se la letteratura vuol raccontare i destini, quelli falliti, come ritiene l’autore, hanno il senso di evidenziare i riferimenti essenziali di un’epoca e di vivere fino in fondo la difficoltà dell’individuo ad affermarsi in una società sempre più complessa. Il confine della verità però non viene abbattuto, non si offusca: resta il dramma individuale di un’esistenza rinchiusasi nel delirio della mente, per dimenticare di esistere, per voler assomigliare a un punto, a un nulla. Percezione più facile da sopportare della colpa e dell’incapacità a darsi una strada, a costruire la piena realizzazione del proprio sè. Magris, scrittore acuto e penetrante nel riflettere su ciò che è speranza e illusione nel contraddittorio mondo moderno, ha con «La mostra» messo a tema l’affascinante ed inquietante interrogativo sul confine che separa verità e retorica, normalità e degenerazione, presentando un «folle» degno di rappresentazione e celebrazione postuma, la cui malattia è l’esito di un percorso esistenziale segnato dallo smacco del fallimento e dal t