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L' assassinio di Giulio Cesare. Una storia di popolo nella Roma antica

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Titolo: <strong>L' assassinio di Giulio Cesare. Una storia di popolo nella Roma antica</strong></br></br>
Autore: <strong>Michael Parenti</strong></br></br>
Editore: <strong>Feltrinelli</strong></br></br>
Pagine: <strong></strong></br></br>
Anno edizione: <strong>2006</strong></br></br>
EAN: <strong>9788807104060</strong></br></br>

<p>La maggior parte degli storici ha guardato agli anni della tarda repubblica di Roma attraverso gli occhi dell'aristocrazia romana. Il popolo comune viene descritto come una massa di parassiti, una marmaglia interessata unicamente ai "panem et circenses", a placare la fame e a godere dei sanguinari spettacoli del circo. Cesare è per alcuni un tiranno, per altri un pericoloso demagogo che sposa la causa del popolo per desiderio di potere, per altri ancora un "dittatore democratico". Il suo assassinio viene letto come il risultato di inimicizie personali o di lotte di potere svuotate di contenuto sociale. A Parenti non interessa tanto Cesare come individuo, piuttosto gli preme capire quali dinamiche sociali e "di classe" si agitavano dietro le quinte della sua ascesa e del suo assassinio. Quella che Parenti racconta è la storia della resistenza popolare contro una plutocrazia spietata. Una storia "dal basso" che restituisce a un popolo la sua voce. Il libro ricostruisce il contesto sociale e politico in cui maturò l'omicidio di Cesare e, insieme, cerca di leggere "in filigrana" la vita, le iniquità, le aspirazioni della società romana.</p>
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Certo, la lettura ‘politica’ di Parenti può essere una chiave interpretativa, ma perché pessima? E potrebbe anche non essere una buona idea giudicare oggi con la ‘nostra morale’, che pure ha radici importanti nella tradizione giudaico-cristiana (“Non esiste più schiavo né padrone …”). A me l’analisi dello studioso americano è piaciuta e mi è piaciuta soprattutto la ‘rivisitazione critica’ del Cicerone politico, una figura un po’ meno ‘cristallina’ di quella propostaci dalla storiografia classica. E’ un po’ la sorte che tocca a molti grandi del passato, come ad esempio al Colombo ‘conquistatore’ delle Indie. Un bel libro dunque, che apre ‘nuovi orizzonti’ o meglio li ‘riapre’, se già Brecht nel 1935, nella famosa poesia “Domande di un operaio che legge”, si poneva la domanda su chi fa la storia (“Chi costrui’ Tebe dalle sette porte? Nei libri ci sono i nomi dei re. Sono stati i re a trascinarli i blocchi di pietra?”).

La lettura di classe delle Idi di marzo è una pessima chiave interpretativa. Non che a Roma non vi fosse, da decenni, «un» conflitto di classe: semplicemente, è fuorviante nell’accostarsi ad un evento nel quale motivazioni politiche, personali, culturali, piscologiche si fondono inestricabilmente. Fa il paio con l’ipotesi che vorrebbe la morte di Cesare collegata ad una specie di «Tangentopoli» dell’epoca, in relazioni agli spettacolari progetti urbanistici che Cesare aveva in mente. A questo punto, perchè non fare altre ipotesi fantasiose? Ad esempio, che i congiurati fossero finanziati dai servizi segreti dell’impero partico, al quale Cesare si accingeva a fare la guerra? O che l’istigatrice di Giunio Bruto fosse sua madre Servilia, ex - amante di Cesare accantonata, come una recente fiction di successo ha ipotizzato? Chi più ne ha, più ne metta….

Parenti scrive bene ed è un ottimo divulgatore. Solo non penso che si possa applicare l’etica «nostra