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Racconto a tratti curioso, a tratti struggente, non cade mai nel banale, ma anzi descrive con passione «triestina» l’infinito intercalare e procedere dell’onusta rete ferroviaria italiana. Profetico nel descrivere lo stato di abbandono del nostro sistema ferroviario come alter ego del sistema politico, la narrazione non cade mai nella dietrologia o nello sproloquio politico, è assolutamente priva di iattanza, ma espone realtà oggettive che oggi (siamo nel 2010) appaiono ormai consolidate nella cronaca. L’autore sceglie la tecnica anglosassone della narrazione a due voci creando un contraddittorio che è il vero sale di questa raccolta di racconti. Consiglio il testo ai nostalgici del’Italia democratica e post bellica che fu, oggi voce di assoluta minoranza in un contesto politico e sociale di totale decadenza morale.
Troppo facile. Troppo facile aprezzare le ferrovie da viaggiatore, in vacanza, con la prospettiva accattivante e stimolante di pubblicare le proprie impressioni. Scontato, banale, radical chic per i primi tre quarti, si riscatta, parzialmente, negli ultimi tre capitoli. Ne riparliamo dopo vent’anni di pendolarismo, due volte al dì, con i veri problemi, dei veri viaggiatori della seconda classe.
Dietro il lepido racconto prende forma un banale “pamphlet” politico d’un passatista che, ad ogni piè sospinto, manifesta la nostalgia verso chissà quale periodo d’oro della “res publica”. Messe da parte le amene descrizioni d’itinerari, treni, stazioni, luoghi e persone non rimane che una superficialissima analisi storico-sociologica, animata dall’ossessione per Berlusconi e il berlusconismo.
Un inno al treno. Ma, per intenderci, al treno dei nostri ricordi, dei viaggi appunto in seconda classe di quando viaggiare in treno era ancora un lento e lungo abbraccio con il territorio, col variare del paesaggio naturale e civile. Nostalgia di un tempo che andrebbe fermato e riproposto, perchè era più umano. Grazie all’Autore, cui perdono di cuore qualche refuso (Corradino di Svevia morì decapitato a Napoli, non lontano dall’attuale Stazione a Tagliacozzo fu sconfitto. E i macchinisti a Firenze, entrando nella Stazione di S. Maria Novella, vedono (forse) la cupola del Duomo, cioè di Santa Maria in Fiore. La chiesa, di S. Maria Novella, non ha cupola), e a Paolini. Un libro imperdibile, che non può mancare nella personale biblioteca di chi ama il treno, quello italiano soprattutto, un tempo autentico motivo d’orgoglio della nostra ingegneria nazionale.