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Quando i soldi finiscono. La fine dell'età dell'abbondanza

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Titolo: <strong>Quando i soldi finiscono. La fine dell'età dell'abbondanza</strong></br></br>
Autore: <strong>Stephen D. King</strong></br></br>
Editore: <strong>Fazi</strong></br></br>
Pagine: <strong></strong></br></br>
Anno edizione: <strong>2014</strong></br></br>
EAN: <strong>9788876253171</strong></br></br>

<p>Sono nato nel 1963, e purtroppo ero un po' troppo giovane per vivere in prima persona l'epoca dei Beatles, di Jimi Hendrix e della Summer of Love, ma dal punto di vista economico non potevo venire al mondo in un momento migliore". Attacca così l'economista Stephen D. King, ma subito a fare da contrappunto all'idilliaca evocazione degli anni del boom è la desolante realtà di oggi. Questo saggio è infatti uno dei più lucidi ritratti dell'attuale crisi, tanto che, dalla sua uscita in lingua inglese, ha fatto rabbrividire i lettori di mezzo mondo: che succede quando i soldi finiscono? Certo, l'espressione, avverte King, non va presa alla lettera: di fatto i soldi non finiscono mai, la moneta si può sempre creare dal nulla e stampare a piacimento. Ma forse la società occidentale ha raggiunto un punto di non ritorno, una svolta epocale che segna la fine di quell'"età dell'abbondanza" che consideravamo ormai come il nostro habitat naturale. Quello della crescita costante e inarrestabile è un mito a cui dobbiamo rinunciare? Per King lo dobbiamo quantomeno rivedere. Pensioni, sanità pubblica e reddito garantito sono promesse che possiamo mantenere? Sostenitori del rigore e delle politiche espansive si arrovellano con il rebus della crescita senza venirne a capo, i politici privilegiano il consenso elettorale al rispetto degli obblighi verso i creditori internazionali e le banche centrali diventano veri e propri organi politici, o, come le chiama l'autore, il "potere dietro il trono".</p>
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Il libro, appena uscito, è scritto da Stephen D. King, laureato in economia e in filosofia ad Oxford, che lavora, come responsabile di ricerca economica, preso la banca HSBC. Il titolo, accattivante, si riferisce alla crisi economica dei paesi occidentali che sembrano aver perso la strada per ritornare a crescere. L’autore analizza, quindi, le cause della crisi recente, ma con molti richiami alla storia passata: la crisi del ‘29, le difficoltà dell’Argentina soggetta a crisi periodiche, la crisi ormai pluridecennale del Giappone, le difficoltà dell’eurozona e, ovviamente, la crisi americana scatenata dalle follie finanziarie della bolla immobiliare e dei subprime. Comunque i richiami storici non si fermano al passato vicino o prossimo, ma arrivano sino al medioevo. Da questi confronti e richiami storici, l’autore cerca di trarre qualche insegnamento. Le accuse si rivolgono al sistema bancario per i suoi eccessi, ma anche i governi e alle loro politiche, che hanno assecondato la nascita della crisi con il loro, non sempre azzeccato, interventismo che, ad esempio, ha permesso un uso sconsiderato dei flussi di denaro in eccesso. Se la prende, comunque, non solo con i debitori, ma anche con i creditori, i paesi in surplus commerciale: Cina e Germania, che hanno, con il loro avanzo della bilancia commerciale, alimentato questi flussi di denaro, ma, anche, con i risparmiatori che alimentano, inconsapevolmente, gli enormi flussi di denaro con i fondi pensione che cercano rendimenti elevati. Insomma dall’analisi dell’autore non si salva, giustamente, nessuno, compresi gli economisti, troppo presi dalle loro teorie sofisticate che tendono a dimenticare gli insegnamenti della storia e della realtà. Il dramma, o incubo, come lo definisce, è che si è persa la fiducia, che è un elemento fondamentale di un sistema economico moderno, nelle banche e nei politici e tra creditori e debitori, con il rischio di pesanti ripercussioni